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Fondamentale investire sulla ricerca e sull'università

Fondamentale investire sulla ricerca e sull'università

di Franco Mosconi

29 Ottobre 2020, 08:24

«Il Covid, comparso da non molti mesi, sarà sconfitto dalla ricerca», ha affermato lunedì scorso il Presidente Sergio Mattarella in occasione de «I Giorni della Ricerca».
Certo, sono giorni - questi - in cui l’attenzione di tutti noi è rivolta alle disposizioni dell’ultimo Dpcm e alle sue conseguenze immediate per la vita delle persone, delle imprese e delle comunità. Ma è altrettanto necessario alzare il velo sulle questioni vitali del nostro tempo, come l’avanzamento della scienza e della tecnologia. L’incontro al Quirinale del Presidente della Repubblica con i ricercatori dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) ha rappresentato un passaggio assai importante. Potremmo dire, doppiamente importante giacché al valore della ricerca scientifica in sé si unisce, oggi, la grande opportunità rappresentata dal “Next Generation EU”, il Recovery Fund voluto dall’Unione europea (Ue) per far fronte ai guasti della pandemia.
Ora, l’elemento più importante del Recovery Fund è il cosiddetto «Dispositivo per la ripresa e la resilienza» pari a 672,5 miliardi di euro sui 750 totali (il 90% circa). Ampiamente note sono le due suddivisioni di queste imponenti cifre, da un lato, fra sussidi e prestiti e, dall’altro, fra gli Stati membri. Quella che merita di essere richiamata è la filosofia di fondo: l’Ue incoraggia i Ventisette a predisporre “piani di investimenti e riforme”; a loro volta, questi piani dovranno conseguire alcuni fondamentali obiettivi (i cosiddetti “progetti faro”) riconducili alla “transizione verde e digitale”. 
Questa è fondata sulla ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica: pensiamo all’utilizzo di energia pulita e allo sviluppo di nuovi microprocessori. E non accidentalmente, vi è poi un progetto faro di natura generale che riguarda «la riqualificazione e il miglioramento delle competenze».
Insomma, gli investimenti in conoscenza (R&S, capitale umano, information technology) dovranno rappresentare una delle aree privilegiate di intervento. E in Italia più che altrove se teniamo conto dei divari che separano il nostro Paese dagli altri grandi fondatori dell’Europa unita (Germania e Francia). Le Linee guida del nostro Piano nazionale, presentate dal Governo il 15 settembre scorso, tratteggiano una prima lista di “obiettivi” (fra i quali l’aumento del rapporto R&S/Pil al di sopra della media Ue del 2,1% partendo dal nostro attuale 1,3%) e “missioni” (fra le quali istruzione, formazione e ricerca).
Quando, al più tardi entro la metà di aprile, dovranno essere presentati i piani dettagliati si porrà la questione delle priorità e dei progetti davvero strategici. Per un paese come l’Italia (seconda manifattura d’Europa), l’auspicio è che fra gli investimenti - materiali e immateriali – figuri sì l’aumento di quelli per la ricerca di base e le università, ma anche la costruzione su larga scala dei due network che hanno contribuito a costruire l’eccellenza dell’industria tedesca. Il riferimento va alle Fachhochschule (che gli stessi tedeschi in inglese chiamano University of Applied Science) per la formazione tecnica e al Fraunhofer-Gesellschaft per la ricerca applicata. Nella nostra regione sono state avviate negli anni scorsi alcune prime importanti iniziative quali la “Rete politecnica” (Istituti Tecnici Superiori) e la “Rete ad Alta Tecnologia” (Tecnopoli), e le esperienze sviluppate nel parmense ne sono fedele testimonianza. Il momento appare propizio – fors’anche irripetibile – per il definitivo salto di qualità.
La presenza in Baden-Württemberg – il Land col quale dalla Via Emilia è più appropriato il confronto data la comune forte specializzazione nella meccanica avanzata e nell’automotive – sia delle Università delle Scienze Applicate, sia del Fraunhofer è impressionante. Vi sono più di venti università di questo tipo (capaci di offrire un percorso di istruzione terziaria a circa un terzo degli studenti universitari) e 17 organizzazioni riconducibili al Fraunhofer (di cui ben 13 sono Istituti).
Entrambe le Istituzioni, nel loro campo d’azione, fanno parte di un sistema dove vi è una razionale divisione dei compiti con altre Istituzioni come, per esempio, nell’alta formazione con le “Research Universities” e nella ricerca industriale con l’“Innovation Alliance Baden-Württemberg (innBW)”. È poi la missione di queste istituzioni a proiettare la loro attività verso il domani. I soggetti di studio delle Università delle Scienze Applicate – nate negli anni Settanta – si sono venuti evolvendo e comprendono oggi, accanto alle più tradizionali discipline tecnico-ingegneristiche, anche computer science, matematica e scienze naturali. Dal canto loro, gli Istituti del Fraunhofer – fondato nel 1949 – operanti nel Baden-Württemberg coprono molte delle traiettorie tecnologiche più promettenti: la fisica in molte delle sue applicazioni (pensiamo ai laser e ai sensori), le biotecnologie, l’energia solare. Il capitalismo renano si conferma una valida fonte di ispirazione. E tornando al discorso del Presidente Mattarella, è sempre più vero che «la ricerca è un gioco di squadra».

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