×
×
☰ MENU

Sentenza stato-mafia: ora nessun trionfalismo 

Sentenza stato-mafia: ora nessun trionfalismo 

di  Domenico Cacopardo

24 Settembre 2021, 08:58

Dopo 3 giorni di camera di consiglio, la Corte di appello di Palermo ha modificato la sentenza di primo grado (20 aprile 2018) sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia e ha assolto - perché il fatto non costituisce reato - i generali Mario Mori e Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno tutti dell’Arma dei Carabinieri. Ha altresì assolto Marcello Dell’Utri per non aver commesso il fatto. Ha dichiarato prescritto il reato (ridefinito in tentata minaccia pluriaggravata a corpo politico dello Stato) commesso da Bagarella.

Si conclude così la seconda tappa del percorso giudiziario del processo che, molto probabilmente, avrà seguito in Cassazione. 

Gli ufficiali dell’Arma e il senatore Dell’Utri erano stati accusati e condannati in primo grado per il reato di cui all’art. 338 del codice penale («Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario. 1. Chiunque usa violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, ai singoli componenti o ad una rappresentanza di esso o ad una qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio o ai suoi singoli componenti, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività, è punito con la reclusione da uno a sette anni…»), nell’assunzione che i loro comportamenti (“la trattativa”) appartenessero al disegno criminale - appunto - di minacciare lo Stato impegnato nella lotta alla mafia e nell’applicazione di norme carcerarie particolarmente stringenti (il regime speciale di cui all’art. 41 bis) nei confronti dei condannati per mafia.

Ieri la Corte di appello di Palermo, ha ritenuto che i fatti siano stati confermati dall’esame dibattimentale di primo e di secondo grado, ma che tuttavia non sostanzino il reato di cui all’art. 338. Due punti fermi emergono dalla sentenza d’appello, quindi: che una trattativa ci fu; ma che essa non trascese mai oltre i limiti del lecito, nel senso che, conforme alla tradizione pluricentenaria, gli uomini dell’Arma hanno tentato di spingere Riina sulla strada del pentimento e della collaborazione con lo Stato. Con la conseguenza collaterale della cessazione degli attentati che hanno segnato una stagione dell’Italia, una incancellabile pagina nera.

Una condotta, questa, che non si sarebbe potuta realizzare, se la Procura nazionale antimafia fosse stata realizzata secondo i criteri prospettati da Giovanni Falcone: organo centrale cui avrebbero dovuto far capo tutti gli inquirenti di criminalità organizzata del Paese.

Nessuno, quindi, può utilizzare la sentenza per manifestazioni di trionfalismo. La magistratura italiana non ha inventato un teorema, ma s’è mossa sulla base di risultanze di indagini. Da esse ricavò una valutazione configurando il reato di cui all’art. 338 del codice penale che non ha superato il vaglio di appello.

Se, come possibile, i ricorsi dell’ufficio del pubblico ministero e degli imputati saranno inoltrati, presto la Cassazione potrà scrivere una parola definitiva sul processo e sui suoi protagonisti.
Dobbiamo attenderla con fiducia nelle istituzioni e in particolare nelle istituzioni giudiziarie: i recenti travagli, seri e dolorosi, non influiranno nella scrittura delle pagine finali del procedimento denominato «trattativa Stato-mafia».

 www.cacopardo.it
 

© Riproduzione riservata

CRONACA DI PARMA

GUSTO

GOSSIP

ANIMALI