Le leggi, anche quelle ben scritte (e non è il caso di quelle italiane), hanno spesso delle conseguenze non previste e che stridono con il sentire comune. Non sempre è colpa della pressione di chissà quale gruppo di potere. Succede anche questo, naturalmente, e succede di frequente. Ma probabilmente non è il caso della legge sul reddito di cittadinanza che è stato accordato anche a Federica Saraceni, ex componente delle Nuove Brigate Rosse, condannata in via definitiva a 21 anni e mezzo di reclusione per l’omicidio del giuslavorista Massimo D’Antona, ora ai domiciliari.
«Ho provato un grande senso di ingiustizia - ha detto Olga D'Antona, la vedova -. Non sempre quello che è legale è giusto». «L'ingiustizia - ha concluso - non la subisco io. La subiscono tutti i cittadini. La norma va rivista».
Ecco, appunto, la norma va rivista. Ma qui iniziano i problemi. Perché è partita subito la polemica politica e nessuno riconosce di aver fatto un errore, sia pure, ne siamo certi, con le migliori intenzioni, visto che la rieducazione del reo è un principio della nostra Costituzione.
Accade così che Matteo Salvini, dimenticandosi che la legge è stata varata dal governo di cui faceva parte, minacci sfracelli e se a prenda con il direttore del Inps, Pasquale Tridico, a cui intima, a lui e non al Parlamento, di modificare la norma. Anche il Pd è partito lancia in resta, ma si scopre che la Saraceni percepiva anche il precedente reddito di inclusione, votato, appunto, dai democratici. Allora non sarebbe meglio, invece di accusarsi a vicenda, semplicemente modificare la legge come chiede Olga D'Antona? E in fretta.
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