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Editoriale

La partita a scacchi è solo iniziata

ucraini in fuga

di Paolo Ferrandi

26 Febbraio 2022, 08:10

Se a un osservatore esterno - diciamo un abitante di Marte - fosse chiesto di giudicare l’attuale situazione in Ucraina farebbe davvero fatica a trovare uno schema di giudizio coerente. Il nostro marziano sarebbe sconcertato dall’enorme differenza tra l’infuocata guerra di parole tra le varie parti in conflitto e la situazione sul terreno che - oggettivamente - non è cambiata granché rispetto a quel permanente conflitto a bassa intensità che da anni coinvolge le repubbliche separatiste russofone che occupano circa il 40% per cento della regione ucraina del Donbass.

Certo, ora si spara di più rispetto a qualche mese fa, ma nessuna delle parti ha fatto mosse decisive sul terreno e si fatica anche a capire se le truppe russe si siano effettivamente schierate sul territorio delle repubbliche separatiste. Molto probabilmente è così, ma si tratta di truppe che non sventolano insegne nazionali e che comunque per ora tengono un profilo talmente basso da essere quasi invisibili. Per i civili, invece, la vita è cambiata radicalmente: i filorussi sono stati convinti a lasciare il Paese in un esodo che è diventato materiale di propaganda. Dall’altra parte del confine, invece, i problemi dell’essere in zona di guerra si sono intensificati: tra energia elettrica che salta, acqua potabile che manca e colpi di artiglieria che fanno da basso continuo alle attività quotidiane. E a volte colpiscono nel mucchio.

La vera escalation, però, per ora è stata soprattutto verbale e diplomatica. Vladimir Putin - dopo settimane di attesa - ha riconosciuto formalmente le repubbliche separatiste e ha ricevuto dalla Duma il sì allo schieramento di truppe russe. Una decisione che cambia radicalmente la scena diplomatica perché vuol dire il ritiro unilaterale della Russia dal quadro degli accordi di Minsk, che prevedevano l’autonomia delle due piccole repubbliche non la loro secessione dall’Ucraina.

Una prima linea rossa, quindi è stata superata. In più Putin ha fatto affermazioni durissime sull’Ucraina dicendo - a partire da spericolate e non corrette ricostruzioni storiche - che in realtà non è una Nazione, ma piuttosto una marca di confine della Grande Russia che l’attuale inquilino del Cremlino intende ricostruire. Affermazione condite con un atteggiamento passivo-aggressivo proprio del bullismo applicato alla politica estera per cui è sempre la Nazione vittima che in qualche modo è causa dei suoi mali, mentre l’aggressore reagisce solo se provocato. L’Ucraina è stata accusata di essere un Paese guerrafondaio, che cerca - forse con successo - di dotarsi di armi atomiche e via dicendo. Un cumulo di stupidaggini. In sintesi, come notava su questo giornale Domenico Cacopardo, l’eterna favola del lupo che accusa l’agnello.

Dall’altra parte della barricata, nel campo occidentale, l’allarme verbale al calor bianco è stato accompagnato per ora da decisioni sulle sanzioni che sono sembrate light, soprattutto se comparate a quelle promesse. Il fatto è che difficilmente a un’invasione light - come l’attuale - si risponde con sanzioni pesanti come quelle annunciate che prevedevano - lo ricordiamo - l’esclusione della Russia dalla rete bancaria Swift. Un provvedimento che dal punto di vista finanziario ha la potenza di un’arma nucleare perché azzera la possibilità per il Paese colpito di accedere alle transazioni bancarie internazionali. Certo c’è la decisione della Germania di fermare il processo di autorizzazione del gasdotto Nordstream 2, ma anche qui si ferma un processo che è già fermo da mesi proprio per l’aggressività della politica estera russa.

Allora non è successo nulla? Al contrario, si tratta dell’apertura di una difficile partita a scacchi che potrebbe facilmente sfociare in un conflitto devastante. Solo che per ora le mosse sulla scacchiera sono solo di pedoni, in attesa di far entrare in azione i pezzi davvero importanti.

Gli scenari sono tre: in quello minimo Putin potrebbe accontentarsi di inglobare la parte di Donbass controllata dalle repubbliche separatiste. Una specie di onorevole via d’uscita dopo le rodomontate sulla Grande Russia che aumenterebbe pesantemente la pressione sull’Ucraina e non costerebbe molto in termini di sanzioni internazionali. Lo scenario intermedio prevede un’aggressione vera e propria all’integrità territoriale ucraina con la conquista dell’intero Donbass e soprattutto della regione costiera del Mare di Azov in modo di avvicinare il Donbass russificato alla Crimea che è stata strappata a Kiev negli anni scorsi. Questo sviluppo sarebbe particolarmente cruento sul campo e darebbe luogo a sanzioni molto pesanti, ma in qualche modo non è lo scenario peggiore che prevede invece l’attacco diretto alla capitale ucraina, Kiev, sperando nella capacità delle truppe russe di spezzare in breve tempo la difesa dell’esercito ucraino.

Uno sviluppo che la razionalità tende ad escludere perché troppo incerto da punto di vista militare e troppo costoso dal punto di vista diplomatico ed economico (le sanzioni sarebbero pesantissime), ma comunque possibile. Anzi reso quasi probabile dall’immenso schieramento logistico e militare di gruppi corazzati russi e bielorussi sul confine con l’Ucraina. Insomma, la situazione è pessima, ma è possibile che peggiori ulteriormente. Quello che possiamo sperare è che l’attuale titubanza sul campo si consolidi e la diplomazia - per ora fuori gioco - torni a farci sperare.

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