EDITORIALE
Poteva essere una vittoria di tutti. Del nuovo governo che, proprio nel giorno della sua prima riunione ufficiale, ha incassato un indubbio successo sul fronte della sicurezza e dell’ordine pubblico. Delle forze di polizia, destreggiatesi sul campo in maniera semplicemente esemplare. Degli amministratori locali (tutti dell’opposizione) a loro volta parte attiva nell’opera di disinnesco di una mina pronta a esplodere da un momento all’altro. Perfino degli stessi ragazzi (o almeno di una parte di loro) che, prima di andarsene dopo due giorni di bolgia infernale, alla fine hanno ripulito il capannone a due passi dalla A1 che avevano invaso e occupato illegalmente secondo la prassi, contraria a qualsiasi legge o regola del vivere civile, della galassia rave. Invece, siamo già al solito dibattito lunare fra «democratici» e «antidemocratici». Se non - tanto è sempre lì che si va a parare - fra «fascisti» e «antifascisti».
Dire che la gente non ne può più di simili rituali buoni solo a fornire nuova carne da cannone ai talk-show e alle falangi di odiatori che spadroneggiano sui social, è dire poco. Così come è evidente l’irresistibile tentazione di sviare il discorso dalle sfide gigantesche - le peggiori da 80 anni a questa parte - che abbiamo di fronte.
Eche richiederebbero, o meglio imporrebbero, la ricerca costante di un minimo denominatore comune fra maggioranza e opposizione. Della serie: almeno per un po’, misuriamoci reciprocamente sui fatti (e non sulle quisquilie grammaticali tipo «il» o «la» Presidente). Per concentrarsi, pur nella doverosa distinzione dei ruoli propria del gioco democratico, su come tenere il Paese in carreggiata (cosa ancora possibile vista la sorprendente crescita dell’Italia nel terzo trimestre 2022, nettamente superiore alla media europea e a quella degli altri big continentali). Invece, eccoci qui a sorbirci l’ennesima puntata dell’eterna telenovela «Il rosso e il nero». Con Salvini e Letta già lì a incrociare i guantoni sul ring, felici e baldanzosi come non mai. Conte che annuncia addirittura l’avvento di uno Stato di Polizia. E vibrati appelli contro il ritorno dei manganelli che a Modena, come si sa, nessuno ha visto.
E tutto questo, per cosa? Per una faccenda di ordine pubblico finita, una volta tanto, bene! Cioè, con la vittoria piena e senza ombre di sorta della legalità. E quindi, ripeto, di tutti. Una vittoria addirittura doppia, se si pensa alle cronache spesso drammatiche a cui i «rave» (in italiano «delirio») ci avevano ormai abituato. Solo alcuni esempi fra i tanti. Agosto 2021: nei pressi di Viterbo, circa 10mila «ravers» provenienti da tutta Europa invadono una tenuta agricola per tenervi un party illegale a base di musica techno, alcol e droga. Al termine di cinque giorni di follia pura, ecco il bilancio: 300mila euro di danni fra gasolio rubato, strutture danneggiate e svariati capi di allevamento uccisi. Ma nell’elenco delle vittime non figurano solo le pecore del proprietario. Mentre la «festa» impazza, un ragazzo di 24 anni annega nottetempo nel lago adiacente. In seguito verrà rinvenuto sotto un telo di plastica il corpo di una donna trentenne, morta per cause naturali o per assunzione di sostanze stupefacenti. Fine degli orrori? No, perché a parte il numero impressionante di ricoverati in coma etilico o per overdose, c’è posto anche per due denunce per stupro. E ora trasferiamoci dalle parti del comune piemontese di Nichelino, i cui abitanti si porteranno a lungo negli occhi (e nelle orecchie) il ricordo del rave organizzato per la notte di Halloween dello scorso anno: un’altra notte da tregenda, con decine di giovani soccorsi per abuso di alcol e di droghe, poliziotti bombardati di sassi, bottiglie e petardi e una giornalista aggredita solo perché si trovava lì a svolgere il proprio lavoro.
Pochi giorni fa, a Modena, è andata diversamente. Ma non si è trattato di un caso fortunato. Bensì, dell’effetto diretto di uno Stato che, invece di ritirarsi o di fare da spettatore, ha scelto di intervenire. Di «fare lo Stato», appunto. E non per impedire o disperdere una «manifestazione» o una «protesta» (termini che non compaiono mai nel decreto anti-rave varato nelle stesse ore). Bensì un «raduno» del tutto abusivo e illegale, nonché pericoloso per coloro stessi che lo avevano organizzato e vi stavano prendendo parte. Come, per altro, la storia dei rave testimonia ampiamente. Quel decreto si può migliorare? Benissimo, il Parlamento è lì per questo. Ma una sinistra ancora in evidente stato di choc che pensi di riprendersi dalla batosta elettorale appena patita affidandosi ai centri sociali e alle masse studentesche minacciate non si sa bene di cosa e da chi (che c’entrano i diritti costituzionalmente garantiti con lo stop ai rave abusivi?) può solo allargare il fossato fra sé e l’umore profondo del Paese. Allontanando così i tempi di una possibile rivincita e condannandosi un domani a finire a sua volta prigioniera delle stesse dinamiche distruttive e antidemocratiche. Vedi il recente tentativo di impedire a Daniele Capezzone di parlare alla Sapienza di Roma, un atto quello sì squadristico e da condannare «senza se e senza ma».
Sprecare come già sta avvenendo la lezione del rave di Modena - cioè che la legalità alla fine paga - equivale dunque a un rovinoso errore. Tanto più nella situazione drammatica in cui ci troviamo e che impone a tutti - governo e opposizioni - di non perdere più un solo secondo di tempo per affrontarla con tutta la forza e la tempestività necessarie. Questo, almeno, è ciò che chiede e si attende il Paese. Tutto il resto, scusate tanto, è roba da talk-show.
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