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Editoriale

La sfida di una Rai al servizio dei cittadini

rai

di Ruben Razzante

06 Novembre 2022, 14:08

Su molti temi prioritari dell’agenda politica il Governo Meloni sta marcando una certa discontinuità con il passato. Dalle misure in ambito Covid alle azioni di contrasto all’immigrazione il nuovo esecutivo mostra un piglio decisionista e un profilo identitario piuttosto apprezzati dall’elettorato di centrodestra e assai biasimati da quello di centrosinistra. Le forze politiche che sostengono la nuova compagine governativa, pur con sfumature diverse e significativi distinguo, mostrano di avere un orizzonte operativo ben chiaro che tuttavia dovrà evidentemente misurarsi con l’evoluzione dello scenario nazionale e internazionale.
Alcuni proclami lanciati dai leader della maggioranza durante la campagna elettorale e ripresi anche nella concretezza delle determinazioni governative sono apparsi eclatanti. Inserire, ad esempio, la parola merito nella denominazione di un ministero, quello dell’istruzione, è stato un segnale forte. Il concetto di meritocrazia, pur nella sua aleatorietà e discrezionalità applicativa, è sinonimo di equità e giustizia e andrebbe declinato in vario modo, non solo in ambito scolastico ma anche in tutti i settori della vita pubblica, per riattivare il circuito virtuoso della fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Un governo che intende riconoscere le differenze e premiare il merito è un governo che percepisce il valore della sua missione riequilibratrice e rinnova la sua volontà di sanare le disuguaglianze e promuovere interventi di uguaglianza sostanziale volti a ristabilire un equilibrio sociale nelle situazioni viziate da discriminazioni e posizioni dominanti.
Nel mondo dell’informazione questo concetto è particolarmente delicato, anche perché tutti i cittadini in egual misura contribuiscono con il canone a sostenere una tv pubblica investita di un ruolo cruciale: garantire in maniera universale un bene pubblico che è costituito dalle notizie di rilevante interesse sociale, dalla rappresentazione quotidiana della realtà dei fatti. La Rai è di tutti i cittadini ed è dovere dei governi considerarla uno strumento fondamentale per garantire il diritto ad un’informazione corretta. Storicamente, però, la politica ha sempre preteso di imporre le sue logiche alla tv pubblica, piegandola a interessi di parte e subordinando trasparenza e imparzialità al perseguimento di obiettivi tutt’altro che nobili e sicuramente non conformi al dettato costituzionale.

Va ricordato, infatti, che la Corte Costituzionale dagli anni settanta in poi ha costantemente richiamato in illuminanti sentenze i valori del pluralismo informativo, dell’indipendenza dei mezzi di informazione e del divieto di ingerenze da parte di altri poteri nelle dinamiche di esercizio della libertà dei media.
Ecco perché sarebbe particolarmente meritorio l’atteggiamento di un esecutivo che provasse a invertire la rotta e a sganciare la gestione della Rai dai condizionamenti partitici e dalle trame lottizzatorie che la dominano da almeno mezzo secolo.
Mostrerebbe coraggio il Governo Meloni se la discontinuità la dimostrasse su questo versante, rinunciando al consueto spoil system che sempre accompagna gli avvicendamenti governativi e provando a riformare sul serio la governance del servizio pubblico radiotelevisivo, ancorandola alla tanto sbandierata meritocrazia, quanto mai preziosa nell’ecosistema mediale, che plasma le vite di tutti ed è in grado di rinverdire il patto sociale e di fortificare le fondamenta del vivere civile.
Il centrodestra offrirebbe una grande lezione di stile e darebbe una plastica prova di maturità se applicasse alla Rai criteri meritocratici e non di mera appartenenza partitica e se, contestualmente, avviasse azioni di concreto coinvolgimento del pubblico, sul modello Bbc, senza avvitarsi su se stesso, nella mera coltivazione delle tradizionali pratiche spartitorie e nello snervante iter burocratico che porta all’emanazione del Contratto di servizio.

La gestazione di questo documento, che ha per oggetto l’attività che la Rai svolge ai fini dell’espletamento del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, è sempre molto farraginosa e appare svilente e irriguardosa rispetto al dovere che una tv pubblica avrebbe di assicurare la più ampia trasparenza sulle scelte che riguardano la realizzazione dei contenuti editoriali, l’erogazione dei servizi tecnologici, la predisposizione di sistemi di controllo e di monitoraggio dei risultati. Nell’aprile dell’anno prossimo entrerà in vigore il nuovo Contratto di servizio quinquennale (2023-2028), le cui linee guida sono state approvate nei mesi scorsi dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) e dal Governo Draghi. Il nuovo contratto dovrà indicare obblighi e impegni della concessionaria nell’attuazione dei principi di rilevanza, inclusività, sostenibilità e credibilità e introdurre meccanismi di misurabilità delle prestazioni e dei risultati raggiunti. Il Contratto di servizio, al pari di ogni altro contratto, formalizza impegni precisi che risulteranno tanto più credibili quanto maggiore sarà la disponibilità dell’azienda a rendicontarne il rispetto.

La triangolazione tra governo, Agcom e Rai pone tuttavia in posizione defilata il coinvolgimento effettivo degli stakeholder o portatori di interessi, in primis i cittadini-utenti, che forse potrebbe rappresentare la vera svolta di una auspicabile riforma della Rai dopo quella del 2015, rivelatasi infruttuosa e velleitaria. Coinvolgere fin da subito i cittadini-utenti nella definizione delle strategie aziendali e nella delineazione del perimetro di operatività del servizio pubblico radiotelevisivo potrebbe imprimere uno slancio diverso alla programmazione della Rai e fare in modo che essa risponda in maniera sempre più incisiva alle sfide imposte, anche in materia di maggiore concorrenza, dalla ricchezza della civiltà multimediale e dal cambiamento delle diete mediatiche delle nuove generazioni, sempre meno attratte dal mezzo radiotelevisivo.
Non è solo questione di innovazione tecnologica ma anche e soprattutto di rinnovamento dei linguaggi, alla luce delle incalzanti e tumultuose trasformazioni che investono la nostra società e che suggeriscono nuovi paradigmi mediatici che una tv pubblica è chiamata a intercettare.

Si tratta, come è agevole intuire, di traguardi ambiziosi che investono la crescita complessiva del mondo dell’informazione e dell’intera società e che dovrebbero prescindere dal colore dei governi e dai rapporti di forza tra i partiti. Una Rai per i cittadini non si realizzerà mai senza la rinuncia di tutti gli attori politici a piantare le proprie bandierine in viale Mazzini. Se è vero, come si è ciclicamente ripetuto in questi anni, che dopo il Covid il mondo non è più lo stesso, si inauguri un “new deal” anche in Rai, smettendo di esibire le poltrone della tv pubblica a mo’ di trofei elettorali. La democrazia dell’informazione ne uscirebbe rinvigorita.

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