ECONOMIA
Se escludiamo i quotidiani finanziari (Il Sole 24 Ore, in particolare, è stato il più attento) e qualche sito specializzato, la notizia che il colosso finanziario Blackstone il 2 dicembre ha dovuto congelare i riscatti da un proprio fondo immobiliare è passata quasi inosservata in Italia. Ancora meno eco ha avuto, pochi giorni dopo, la stessa notizia relativa a un altro fondo di credito (non quotato e di dimensioni inferiori) sempre di Blackstone.
Ora, lungi nemmeno dall’ipotizzare che Blackstone sia in difficoltà (il colosso americano ha performance molto solide e gestisce asset per 236 miliardi di dollari, con una crescita superiore al 40% sull’anno precedente) sarebbe però bene prestare attenzione al granello di sabbia prima che si trasformi in una tempesta di proporzioni non gestibili.
Se ricordate, anche la crisi dei mutui subprime una quindicina d'anni fa era partita in sordina, l’effetto domino però fu poi uno tsunami che travolse per anni prima i mercati finanziari e poi le economie avanzate. Anche allora tutto partiva dal mercato immobiliare commerciale americano, sulla cui solidità si stanno nuovamente addensando nubi minacciose. In quel caso l’andazzo molto allegro con cui si distribuivano prestiti immobiliari a clienti con alto rischio debitorio («sub prime» sta a significare proprio che si tratta di concessioni a chi non può godere delle condizioni migliori, quelle «prime») portò all’esplosione della bolla e - guarda le coincidenze - anche allora, era il 2006, la causa scatenante fu il rialzo dei tassi che provocò un’ondata di insolvenze tra tutti coloro che avevano fatto il passo più lungo della gamba.
Anche oggi il rialzo dei tassi, resosi necessario per combattere un’inflazione galoppante, può avere effetti indesiderati anche gravi e i due episodi che riguardano Blackstone non preoccupano tanto in sé quanto perché potrebbero essere solo un primo segnale di un malessere crescente e c’è il rischio che generino un effetto contagio che sarebbe poi difficile da controllare.
Ma cosa è accaduto esattamente? Il robusto rialzo dei tassi operato dalla Federal Reserve (ma anche dalle altre banche centrali) ha provocato un aumento di richieste di riscatti superiore alle soglie limite fissate per i fondi costringendo Blackstone ad intervenire congelando una parte delle richieste di riscatto per il suo fondo immobiliare Breit. Il problema è che a correre dei rischi non sono solamente i Reit (acronimo per Real estate investment trusts) ma tutti i fondi d’investimento aperti che investono per lo più in attività definite «illiquide» (cioè non facilmente vendibili sul mercato in caso di necessità) nel momento in cui la richiesta di liquidità per garantire i rimborsi si dovesse alzare improvvisamente.
Nel caso specifico del fondo Breit pare che l’eccesso di richiesta sia partito dall’Asia dove i mercati hanno mostrato molto nervosismo per le restrizioni cinesi nella lotta al Covid con un andamento negativo che ha spinto diversi investitori a cercare del cash. E sarebbe l'ennesima conferma che il livello di interrelazione tra i mercati globali è in grado di generare conseguenze pesanti da un polo all'altro del pianeta.
Certo, il caso Blackstone non è assolutamente paragonabile a quello che ha coinvolto l'evanescente piattaforma di criptovalute Ftx, crollata sotto una pioggia di richieste di riscatti e che ha visto finire in carcere in questi giorni il «guru» Sam Bankman-Fried, e non è nemmeno lontanamente comparabile a quegli schemi fraudolenti che si sciolgono come neve al sole quando le spese per interessi superano le entrate. Però è bene tenere le antenne dritte. Se più di un fondo di peso si trovasse costretto a vendere i propri asset per gestire una massa di riscatti improvvisa l’effetto domino sarebbe altamente probabile. E allora sarebbero dolori veri.
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