Editoriale
Volendo fare una rapida sintesi dei problemi aperti fra il nostro Governo e l’Unione europea, dobbiamo iniziare dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, proseguendo poi con il tema di una responsabilità comune dei Paesi Ue sui migranti, sulla politica comune sui carburanti green, sul decreto sulle concessioni balneari continuando poi sul tema del Mes concludendo con un tema decisivo per il nostro Paese: il nuovo Patto di stabilità e crescita.
Come possiamo notare vi è un profondo intreccio su gran parte dei temi sul tappeto di questa difficile negoziazione, ma soprattutto vi sono profonde correlazioni fra le posizioni che il nostro Governo sta assumendo e assumerà sui vari dossier.
Se partiamo dal Pnrr dobbiamo considerare che la terza tranche da 19 miliardi che il Governo aveva chiesto a dicembre non è ancora stata liquidata. Per poter giungere all’accordo sono stati messi a disposizione ulteriori due mesi, ma, come abbiamo visto tutti, questo delicatissimo passaggio ha aperto di fatto il vaso di Pandora sull’intero Piano e soprattutto sulla reale possibilità di realizzare i progetti previsti entro la data finale del 2026.
Ricordiamo che il Pnrr vale 191,5 miliardi più 30 miliardi del fondo complementare arrivando ad un totale di 221,5 miliardi. Una parte di questo monte di denaro è a debito e un’altra parte a fondo perduto. Ma è giusto sottolineare che per sostenere il Next Generation Eu dal quale discendono i vari Pnrr dei singoli Stati della Ue sono stati impiegati, per la prima volta, fondi derivanti da titoli del debito pubblico comune che per intenderci chiameremo Euro Bond.
L’importanza quindi di raggiungere gli obiettivi indicati nel Pnrr del nostro Paese è fondamentale per disegnare un futuro di crescita lasciando alle spalle un decennio di sviluppo quantomeno modesto.
Ma raggiungere gli obiettivi indicati è anche fondamentale per non deludere le aspettative di uno sforzo comune testimoniato dallo straordinario evento dell’emissione degli Euro Bond, fondamentali come scelta economico-finanziaria dei Paesi che come il nostro hanno un debito elevato e che pagano interessi ben più alti rispetto ai fondi ottenuti con titoli del debito comune.
Sarebbe fondamentale, in questa fase del Piano, uno sforzo comune del Governo e dell’opposizione per intraprendere un percorso che inevitabilmente comprende la struttura pubblica nazionale e quella degli Enti locali. La mancata modernizzazione della struttura amministrativa e operativa della Pubblica amministrazione mostra tutti i suoi limiti nel percorso di attuazione del Pnrr, con una percentuale di realizzazione dei progetti, come indicato dalla Ragioneria dello Stato, di solo il 12% rispetto alla previsione di risorse al 2026.
Il continuo richiamo alla flessibilità, che altro non significa che spostare fondi da progetti indicati nel Piano attuale a nuovo progetti, può avere un senso solo se si accompagna ad una azione forte e coesa di impulso al reale cambiamento organizzativo e operativo dell’Amministrazione pubblica nazionale e locale.
Non potendo in questo articolo toccare tutti i temi in discussione ci soffermiamo solo su altri due: uno riguarda la riforma del Meccanismo europeo di stabilità, conosciuto da tutti come Mes. L’altro riguarda la riforma del Patto di stabilità e crescita.
Ci soffermiamo brevemente sul Mes di cui ha parlato diffusamente il professor Augusto Schianchi. In particolare ci soffermiamo sulla posizione assunta dal Governo, in particolare dal premier, che dice di subordinare la decisione sul Mes alla completa attuazione dell’Unione bancaria.
Occorre affermare che l’Unione bancaria è già realizzata in due dei suoi tre pilastri: il Ssm., il meccanismo di vigilanza unico, già operativo, che ha lo scopo di garantire la solidità del settore finanziario, con la Bce responsabile della vigilanza sulle banche in collaborazione con le Banche centrali nazionali; il Srm, il meccanismo di risoluzione unico, già operativo utilizzato per le Banche in dissesto. E’ proprio per questo che il Mes, riformato nelle parti più discusse relative alle condizionalità e alla cosiddetta troika che interveniva per controllare le riforme macroeconomiche, ha a disposizione un fondo (denominato come back stop), un meccanismo finanziario di sostegno da utilizzare nelle procedure del meccanismo di risoluzione unico quando le procedure ordinarie non sono sufficienti.
Quindi il via libera del Mes riformato, che vede solo il nostro Paese a non aver dato la sua approvazione, è propedeutico a fornire un supporto fondamentale al pilastro del meccanismo di risoluzione unico delle crisi bancarie e non una conseguenza del completamento dell’Unione bancaria.
La costruzione di un rapporto positivo con le riforme bancarie della governance economica europea è fondamentale per la gestione positiva dei dossier esposti in premessa e soprattutto quello della riforma del Patto di stabilità e crescita, sospeso in occasione della pandemia, che riprenderà nel 2024 e che va decisamente modificato in quanto nella forma precedente diventava particolarmente pesante per un Paese fortemente indebitato come il nostro.
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