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EDITORIALE

Urgente una legge sull'oblio oncologico

di Ruben Razzante

29 Maggio 2023, 08:52

Francia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e Portogallo una legge sull’oblio oncologico ce l’hanno già. La Spagna sta per emanarla. Il Parlamento europeo, con una risoluzione del febbraio 2022, ha esortato tutti gli Stati ad adeguare i loro ordinamenti giuridici ad un’esigenza sempre più avvertita: quella di tutelare i malati di tumore che sono guariti e che chiedono di poter tornare a una vita normale anche sul piano della piena fruizione dei propri diritti. Oggi sono obbligati a dichiarare le proprie patologie tumorali pregresse quando sottoscrivono un contratto di lavoro o una polizza assicurativa, quando chiedono un mutuo o quando provano ad accedere ad un’adozione. Il loro calvario passato li perseguita anche dopo la guarigione, al punto che si vedono precluso l’accesso ad opportunità che sono invece normalmente riconosciute a quanti non sono mai entrati nel tunnel del cancro. A queste persone vengono imposti costi più elevati o condizioni più onerose e discriminatorie proprio in ragione della loro storia clinica. L’assemblea di Strasburgo ha chiesto che «entro il 2025, al più tardi, gli Stati membri garantiscano il diritto all’oblio a tutti i pazienti europei dopo 10 anni dalla fine del trattamento e fino a 5 anni dopo la fine del trattamento per i pazienti per i quali la diagnosi è stata formulata prima dei 18 anni di età».

La notizia confortante è che anche il nostro Paese sta per dotarsi di una base giuridica in materia, se è vero che all’esame della Commissione affari sociali della Camera ci sono ben 4 progetti di legge, che potrebbero presto essere unificati e che disciplinano con puntualità e lungimiranza il riconoscimento del diritto all’oblio oncologico.
Secondo cifre diffuse dalla Fondazione Veronesi, in Europa ci sono 20 milioni di persone in vita dopo aver ricevuto una diagnosi di tumore. Tra loro, 7 milioni (il 35%) sono persone che hanno ricevuto l’ultima diagnosi da almeno 10 anni e che da allora non hanno avuto ricadute. Anche in Italia i dati sono sempre più incoraggianti perché il numero delle persone che vive dopo una diagnosi di tumore cresce del 3% all’anno.

Si stima che nel nostro Paese (dati 2020) siano 3,6 milioni le persone che vivono dopo una diagnosi di tumore (+37% rispetto al 2010); tra loro un milione di persone (il 27%) è tornato ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale e può considerarsi guarito. Per alcuni tumori, come quello della prostata e del seno, se diagnosticati precocemente, il tasso di sopravvivenza è rispettivamente del 92 e dell’87%. Molti tumori vengono curati e altri possono essere cronicizzati. E, come detto, sono in aumento le persone che vivono anche a distanza di molti anni dalla diagnosi.

“Io non sono il mio tumore” è lo slogan che sintetizza la legittima aspirazione dei guariti dal cancro a non rimanere “immobilizzati” nella propria malattia e di poter avere in tutti i campi le stesse chance di chi da quella malattia non è mai stato sfiorato. Affinchè ciò si possa realizzare nella concretezza quotidiana diventa fondamentale il riconoscimento dell’oblio oncologico inteso come il diritto dell’ex malato di non svelare informazioni sul suo passato sanitario e il divieto per gli altri di indagare su questo aspetto della sua sfera privata. Occorre proteggere, soprattutto in alcune situazioni più delicate, il diritto alla rimozione di particolari non più attuali e che rischiano di fornire un’identità digitale distorta e fuorviante di un individuo, pregiudicando le sue opportunità di accesso a determinati servizi.

E’ necessario impedire un vero e proprio paradosso che molti guariti dal cancro si trovano a vivere: si sono liberati dal tumore ma non riescono a liberarsi del suo stigma e subiscono quotidiane discriminazioni che qualcuno, con un’espressione efficace e quanto mai calzante, ha definito “apartheid oncologico”.
Come detto, proprio in questi giorni a Montecitorio si è accesa una luce su questo fronte perché la Commissione affari sociali ha messo in moto la macchina della discussione dei quattro disegni di legge, due presentati dalle forze di maggioranza e due da quelle di opposizione, a riprova di quanto il tema travalichi gli schieramenti politici e si situi nella dimensione delle battaglie bipartisan di civiltà giuridica.

Si tratta di testi abbastanza sovrapponibili e dunque destinati ad essere presto unificati al fine di rendere più spedito il dibattito e di accelerare i tempi della definitiva approvazione. I principi che accomunano i vari disegni di legge sul tappeto possono riassumersi nel divieto di chiedere informazioni o di ricorrere a clausole su una pregressa patologia oncologica in diversi ambiti: dalla stipula di contratti di assicurazione e servizi bancari e finanziari alle richieste di adozione, fino ad arrivare ai casi di partecipazione a un concorso.

Se i testi all’esame della Commissione non dovessero subire stravolgimenti, il diritto all’oblio oncologico dovrebbe scattare dieci anni dopo la fine delle terapie, a meno che la diagnosi tumorale non sia intervenuta prima del compimento dei 21 anni, nel qual caso basterebbero cinque anni per ottenere la cancellazione del proprio passato di paziente oncologico.
Entro fine anno la legge potrebbe vedere definitivamente la luce e sarebbe una preziosa conquista della civiltà giuridica perché consentirebbe di declinare in forme ancora più mature il principio di uguaglianza contenuto nella nostra Costituzione e nelle leggi vigenti. E’ stato lo stesso Ministro della salute, Orazio Schillaci a ricordare nei giorni scorsi come il diritto all’oblio venga indicato anche nel Piano Nazionale Oncologico come la soluzione per rimuovere gli ostacoli che di fatto generano disuguaglianze. Il titolare del dicastero della salute, dimostrando anche molto realismo, ha tuttavia ammesso che l’auspicabile approvazione della legge sarà solo il primo passo sulla strada di una normalizzazione del rapporto tra memoria collettiva e biografia individuale per quanto riguarda le persone guarite dal tumore. In accordo con le Regioni, le associazioni dei malati e le strutture sanitarie, il Ministero dovrà impegnarsi a dare concreta attuazione alla normativa, rendendo anonimo il dato della guarigione e attribuendogli esclusivamente una rilevanza statistica. E’ la riprova che un’adeguata protezione dell’identità digitale delle persone non può che passare da una percezione corretta del valore dei nostri dati, soprattutto di quelli sensibili.

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