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editoriale

Giovani, scuola e democrazia

Foto d'archivio

di Simone Baglioni

09 Febbraio 2025, 10:32

Occorre occuparci di più dei giovani, sono una risorsa e non solo un pericolo, come l'insistente dibattito sulle baby gangs, ad esempio, sembra suggerire. Il futuro della nostra società, così come il futuro della nostra democrazia come forma di governo, dipendono fortemente da quanto saremo capaci di offrire opportunità di crescita personale ed economica alle giovani generazioni.

Capire la connessione tra opportunità per i giovani e democrazia è importante al di là delle considerazioni di giustizia sociale, perché una democrazia vive sino a quando le persone credono in essa come modalità efficace per potersi sviluppare socialmente, economicamente, valorialmente dentro un contesto di comunità. Questo comporta certamente l’onere di contribuire al benessere collettivo, ma porta con sé anche la sicurezza di poter contare su uguali opportunità di successo e crescita a prescindere dalle condizioni di partenza. Ma la democrazia è ancora capace di garantire eguaglianza di opportunità nel poterci immaginare e proiettare in un futuro appagante di vita personale e professionale? Un modo per verificarlo è osservare cosa succede nel mondo dell’educazione e della formazione.

In altre parole, a scuola, perché è attraverso l’educazione che si compie una parte importante di realizzazione delle opportunità che ci rendono, come sostengono l’economista Amartya Sen e la filosofa Martha Nussbaum, ‘capaci’, e perché la scuola ci consente di parlare dei giovani.
Proviamo ad osservare alcuni dati forniti dal Ministero dell’Istruzione e del Merito partendo da quelli dell’indagine Invalsi, un’indagine che viene utilizzata per valutare il sistema educativo misurando competenze degli studenti in italiano, matematica e inglese, nelle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado. Pur criticato, tra l’altro per l’eccessiva standardizzazione, resta un indicatore interessante. I risultati del 2024, i più recenti a disposizione, ci mostrano abbastanza chiaramente che la scuola fatica ad offrire pari opportunità nella creazione di conoscenze e competenze. La percentuale di studenti più fragili in termini di competenze in italiano, matematica e inglese, e dunque coloro che sono in una situazione di ‘rischio dispersione’ più elevato, è più che doppia (pari al 14%) tra gli studenti provenienti da famiglie più svantaggiate (genitori con licenza elementare e status occupazionale precario) rispetto agli studenti la cui famiglia si colloca nell’indicatore più elevato (ovvero con genitori laureati/diplomati e professione con mansioni da dirigente o libero professionista). Situazione speculare se consideriamo il criterio dell’eccellenza, ovvero gli studenti con performance migliori, che raggiunge la percentuale del 30% tra gli studenti con famiglie più avvantaggiate e si attesta poco sotto al 15%, dunque la metà, per gli studenti con famiglie più svantaggiate.
L’analisi delle competenze e conoscenze è solo un modo di valutare il ruolo della scuola nella creazione di parti opportunità di crescita. Risultati analoghi a quelli dell’Invalsi si hanno se consideriamo la distribuzione dei giovani tra i vari tipi di scuola superiore, analizzata in un recente rapporto del Ministero, dal quale si evince che la scuola resta molto segmentata per condizioni famigliari di partenza. Mentre il 54% degli studenti italiani che continua gli studi dopo la scuola media opta per un liceo, solo il 28% degli studenti non italiani, e nati all’estero, lo fa. Viceversa, solo il 15% degli studenti italiani sceglie un istituto professionale, per contro lo scelgono il 34% degli studenti non italiani nati all’estero (e il 23% degli studenti non italiani nati nel nostro Paese).
Ancora, il ritardo scolastico (la situazione in cui uno studente frequenta una classe inferiore di uno o più anni rispetto alla classe che dovrebbe frequentare data l’età) mostra una drastica differenza tra alunni con cittadinanza italiana e alunni con cittadinanza non italiana: alla secondaria di secondo grado il 16% degli studenti italiani è in ritardo contro il 48% degli alunni non italiani. Detto in altri termini, alla scuola superiore quasi uno studente su due con cittadinanza non italiana è in ritardo scolastico.
Anche per gli alunni diversamente abili la situazione non è tale da garantire pari opportunità. In un rapporto del 2024, l’Istat ci informa che solo il 40% delle scuole sono accessibili per alunni con disabilità motoria (solo l’1.2% delle scuole italiane ha accessibilità per alunni con cecità o ipovisione); che quasi un terzo delle scuole italiane non dispone di aule informatiche con postazioni sufficienti per farvi operare alunni con disabilità motoria; o che il 60% degli alunni che ne ha diritto cambia insegnante di sostegno ogni anno, perdendo dunque la continuità didattica.
Questi dati devono interpellarci proprio perché ci raccontano un Paese che non offre pari opportunità ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze, e che dunque sta pericolosamente mettendo in crisi il rapporto tra aspettative, opportunità e democrazia. Il pericolo è che le generazioni che devono costruire il nostro Paese nel futuro non si riconoscano più come parte di una comunità virtuosa che promuove l’uguaglianza delle opportunità e non vedano dunque più il vantaggio di sostenere la democrazia: Il fenomeno è chiaramente descritto dalla tendenza crescente di astensionismo giovanile in occasione delle elezioni. Alle elezioni politiche del 2022 il 35% dei giovani non si è recato alle urne, ed il dato è aumentato alle europee dell’anno passato.
Siamo ancora in tempo per cambiare direzione. Prendiamo atto dei dati e costruiamo un percorso di formazione centrato sui bisogni e sui talenti delle ragazze e dei ragazzi, valorizzandone i diversi background e le diverse abilità. I modelli non mancano. Le risorse possono essere indirizzate per una vera formazione dei docenti ad una diversa didattica, verso modalità innovative di valutazione dei percorsi e delle capacità, verso strumenti di supporto delle vulnerabilità più sistematici e robusti, che possano almeno mitigare se non annullare il peso delle differenze. Occorre coinvolgere le famiglie e le comunità locali nel ripensare, insieme alla scuola, il valore della formazione, non tanto per agevolarle nell’interferire sulla scuola, quanto per renderle partecipi e attive sostenitrici dei percorsi di formazione e educazione che scuola, famiglia e comunità locali possono costruire insieme.

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