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EDITORIALE

La speranza che Trump impari dall'errore dei dazi

La speranza che Trump impari dall'errore dei dazi

di Gianfranco D'Anna

11 Aprile 2025, 14:44

Travolto dai suoi dazi Trump perde la guerra dell’economia scatenata senza una strategia precisa e senza una visione del futuro. Con una faccia di bronzo che non ha precedenti il presidente americano dopo avere minacciato e insultato mezzo mondo si è arreso e con un insuperabile sprezzo del ridicolo, ha revocato per 90 giorni i dazi imposti a tutti i Paesi, tranne che per la Cina, alla quale anzi le barriere doganali vengono aumentate al 125 per cento. Fra una battuta volgare e scatti improvvisi, che purtroppo incidono sull’esistenza di miliardi di persone e che nella realtà quotidiana superano di gran lunga la pantomima del celebre e tragicomico film di Charlie Chaplin «Il grande dittatore», il 47esimo inquilino della Casa Bianca è stato letteralmente costretto a sventolare una ignominiosa bandiera bianca di fronte al baratro economico che le sue a dir poco irrazionali impennate stavano spalancando sotto i piedi degli americani. Un baratro anticipato dall’asta pressoché deserta di bond trentennali del tesoro Usa per 58 miliardi di dollari, dal quinto giorno consecutivo di crolli delle borse e dal ribasso del petrolio sotto i 60 dollari a barile. In una settimana la folle Trump Economy ha fatto bruciare ai mercati qualcosa come 10mila miliardi di dollari.

Il tycoon si è arreso soltanto quando, oltre a Wall Street, a molti esponenti repubblicani, ai media, anche i suoi più stretti collaboratori e alleati, come Elon Musk, gli hanno detto che l’economia Usa stava raggiungendo il punto di non ritorno. Nonostante l’immediato rimbalzo della borsa americana e le impennate dei recuperi dei mercati, resta l’incognita delle incontrollabili mattane di Donald Trump che in soli quattro mesi ha stravolto l’interscambio globale, ma che ha ancora tre anni e mezzo di presidenza davanti. Una prospettiva che allarma sempre più. Nell’immediato, mentre l’Europa, Canada, Giappone e America Latina tirano un enorme sospiro di sollievo, resta l’incubo dello scontro fra Trump e la Cina, che detiene una larga fetta del debito pubblico americano, qualcosa come 759 miliardi di dollari in bond statunitensi, seconda soltanto al Giappone che ha in portafoglio mille miliardi di dollari di bond Usa. Una valanga debitoria in grado di destabilizzare l’America di Trump con una pressione finanziaria cento volte più rilevante del gioco al rialzo sulle tariffe e contro-tariffe dello statista di Mar-a-Lago.
Una Cina «uber alles» che controlla praticamente le materie prime del continente africano e che grazie agli autogol di Trump sta già monopolizzando i mercati europei e latinoamericani. A Pechino in queste ore si brinda con lo Champagne e i vini pregiati europei che pur di piazzare le ultime annate stanno inondando sottocosto le tavole dell’alta burocrazia postcomunista cinese. Una nuova generazione, fedele solo all’ideologia del potere, e che dopo aver sepolto il libretto rosso di Mao sta studiano a fondo Adam Smith e le peculiarità dell’economia moderna e della ricchezza teorizzate dal padre del capitalismo.

A Washington, invece, per scongiurare ulteriori contraccolpi ad una presidenza che a pochi mesi dalla rielezione appare già compromessa e della quale in America molti si pentono, la classe dirigente istituzionale sta tentando di dirottare l’impeto di Trump sul dossier della guerra in Ucraina. Costringere Putin, se non alla pace, quanto meno alla cessazione delle ostilità, restituirebbe infatti gran parte della credibilità perduta al ruolo internazionale degli Stati Uniti. Mentre l’enorme business della ricostruzione rilancerebbe l’economia europea e americana, allontanando le interessate lusinghe di un mercato cinese che punta all’egemonia commerciale. Così, mentre brucia lo smacco dei dazi, per superare il narcisismo di Trump vengono cautamente ripetute al presidente tutte le argomentazioni con le quali, da Confucio a Seneca, da Cicerone a Sant’Agostino, da Platone a Baden-Powell e perfino a Bob Marley, tutti i grandi pensatori e i poeti concordano sul fatto che le persone non si giudicano dai loro errori, ma dalla loro capacità di rimediare. Servirà? Lungo le rive del Potomac, del Tamigi, della Senna, del Tevere e del Yongding di Pechino si spera di sì, ma si teme di no.

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