Gusto
All’inizio fu un colpo di fulmine. La scintilla s’accese quando Michelle Sartori, studentessa al primo anno della facoltà di Scienze zootecniche, andò per un periodo di tirocinio presso un’Azienda agricola in cui si allevavano capre. Curiose e socievoli, cocciute e affettuose, intelligenti e inquiete quelle capre le entrarono nel cuore e quando, alla fine del tirocinio, Elena e Roberto Mangia, gli allevatori-insegnanti, le regalano una capretta, il suo destino di futura pastora e casara è segnato.
Quel lavoro l’appassiona e, tornata a casa, coinvolge tutta la famiglia nell’avventura di riprendere a lavorare le terre di famiglia, allevare capre, fare il formaggio: i genitori danno una mano e sostegno economico, i fratelli Alex ed Elisa sono della partita. In breve si costituisce un piccolo gregge, si costruiscono i recinti e il laboratorio in cui trasformare il latte in formaggio.
«Abbiamo circa dieci ettari di terreno -racconta Michelle- di cui quattro di pascolo. Qui vicino, accanto al bosco, c’è una fontana chiamata la Dinara e da lì il nostro nome. Era il 2015 e il nostro gregge contava sei capre di razza Camosciata delle Alpi: ora ne abbiamo 25, abbiamo tenuto quelle che nascevano, ne abbiamo comprate altre per cambiare il sangue. Mungiamo con la mungitrice e, all’inizio e alla fine della lattazione, quando le capre hanno meno latte, lo facciamo a mano per stressarle il meno possibile. Dal latte ricaviamo yogurt, ricotta e formaggi prevalentemente freschi e qualcosa di semi stagionato, lavoriamo a latte crudo con caglio vegetale di cardo mariano e galium verum».
Come si ottiene un buon formaggio?
«Alla base deve sempre esserci un buon latte e quindi l’alimentazione degli animali è fondamentale: le nostre capre sono al pascolo da marzo a ottobre anche nel bosco, poi diamo loro fieno di primo taglio locale e biologico e un po’ di mangimi ogm free. Non pastorizziamo per non eliminare i sapori del nostro territorio, non usiamo anti-muffe o conservanti. Facciamo due lavorazioni: la presamica, simile a quella del Parmigiano, per il nostro “Fiocco di neve” semi stagionato a crosta fiorita. Col latte a 38° innestiamo i fermenti e le muffe che ci servono, lasciamo riposare e nel giro di 20 minuti cagliamo; dopo mezz’ora facciamo tagli grossolani “a noce” di circa due centimetri, lasciamo riposare sotto siero, trasferiamo nelle fuscelle e dal siero facciamo la ricotta. L’altra lavorazione, di origine francese, è detta lattica ed è perfetta col latte di capra: si sfrutta il tempo più lungo in modo che il latte raggiunga un’acidità tale da fare precipitare le caseine e lo faccia cagliare: col latte appena munto innestiamo le muffe o un goccio di caglio, lasciamo riposare 24 ore, finché non caglia e delicatamente lo mettiamo nelle fuscelle per avere i caprini freschi. Aggiungendo le muffe facciamo con lo stesso procedimento degli stagionati stile francese, con sapori e profumi più intensi».
I vostri formaggi però sanno poco “di capra”...
«E’ vero, sono sempre delicati e questo dipende dal latte e dal caglio vegetale: in questa zona molte persone, abituate al Parmigiano, apprezzano i sapori dolci, mentre quelli più stagionati a lavorazione lattica hanno sapori decisi che vengono scelti soprattutto per essere messi nei taglieri dei ristoranti. Facciamo anche il “miniera” cosparso di carbone vegetale che dà un sapore ancora più spinto. Vendiamo nei mercati contadini di Fornovo al martedì mattina, a Parma in via Montebello il mercoledì mattina, a Calestano la domenica mattina, da metà maggio nella zona dell’Euro Torri a Parma il venerdì pomeriggio. Abbiamo tre cani maremmani, alleviamo galline solo per le uova perché nessuno ha il coraggio di macellarle, due vacche di razza Cabannina che teniamo prevalentemente per avere i vitelli e col latte facciamo formaggi e ricotta per noi. Elisa, tra l’altro, si occupa della informazione sui social e io sto finendo la facoltà di Veterinaria perché qui i veterinari sono specializzati in piccoli animali o in vacche da latte: nessuno sa curare una capra e allora ho deciso di studiare per curarle io».
«Amare il proprio lavoro è la cosa che si avvicina più concretamente alla felicità sulla terra», scrive Rita Levi Montalcini citata nel sito (aaladinara.wixsite.com/ladinara, tel 346.8036.010, Terenzo) e, di certo, ci sono allevatrici, e capre, felici qui alla Dinara.
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata