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Zabaione e stop, dall'uovo sbattuto la genesi di questo dolce

Chi fu a lanciare questa prodigiosa preparazione? Il frate spagnolo Pasqual Baylòn Yubero o il capitano di ventura reggiano Giovanni Baglioni?

Zabaione e stop, dall'uovo sbattuto la genesi di questo dolce

di Chichibìo

31 Luglio 2025, 09:57

All’inizio fu l’uovo. L’uovo sbattuto. Faceva bene, era un rimedio per anemie o stanchezza da crescita, era quasi un obbligo per i bambini. Una medicina dolce, proteica e ricostituente, un integratore alimentare naturale ante litteram. E se non piaceva, come a me, pazienza: bisognava mangiarlo lo stesso, perché l’uovo era fresco, appena fatto da gallina di cortile e lo preparava una nonna amorevole e amatissima. E allora cucchiaiate veloci per poi concentrarsi sul caffellatte in cui inzuppare il pane del giorno prima, vera gioia della colazione. Pellegrino Artusi, nella sua bibbia culinaria, gli dedicherà un capitoletto dal titolo «Un uovo per un bambino» che «con fettine di pane da intingere si farà i baffi gialli e lo vedrete contentissimo». Ai giorni nostri, Andrea Camilleri scriverà da par suo «L’uovo sbattuto», un racconto pieno di umanità e ironia. L’uovo sbattuto è una preparazione semplice, rapida, facile da fare: tuorlo d’uovo montato con zucchero fino ad ottenere una crema spumosa, liscia e biancastra.

Era così nei tempi andati ed è così ancora, se libri e riviste di cucina continuano a proporne la ricetta, magari arricchita di qualche ingrediente, un goccio di caffè una presa di cacao, per renderlo più accattivante. Il passaggio successivo, quello che ha fatto diventare quella crema casalinga una preparazione rappresentativa della cucina italiana e conosciuta in tutto il mondo, è stato l’aggiunta di una componente alcolica e la cottura lenta, meglio se a bagnomaria. Quando questo accadde, e perché prese il nome «zabaione», è questione incerta e, come sempre nei fatti di cucina, dà luogo a racconti che si rincorrono nello spazio e nel tempo per tessere quella tela che chiamiamo cultura, patrimonio gastronomico e che rivela molto di quello che siamo e da dove veniamo. Il nome può aiutare a fissare alcuni paletti. Si racconta che nella seconda metà del Cinquecento il frate spagnolo Pasqual Baylòn Yubero si trovasse a Torino nella parrocchia di San Tommaso dove, tra le altre attività del suo apostolato, suggeriva alle signore, come rimedio per rinvigorire mariti stanchi o demotivati, una preparazione che avrebbe garantito risultati sorprendenti. Bastava applicare la formula 1+2+2+1 vale a dire un tuorlo d’uovo montato con due mezzi gusci di zucchero, due di vino o liquore, uno d’acqua (se necessario), il tutto cotto a bagnomaria. Il successo fu immediato e quando, nel secolo dopo, il frate fu fatto santo quella crema profumata e rinvigorente prese il nome da lui, da San Baylon edunque «sanbaion», «zabaglione», «zabaione».

Divenne un simbolo dolciario di Torino e il frate fu promosso protettore di cuochi, pasticceri e zitelle, che gli dedicarono una specifica preghiera: «San Pasquale Baylonne/ protettore delle donne/ fammi trovare marito/ bianco, rosso e colorito/ come te tale e quale/ o glorioso San Pasquale». E tuttavia, anche i cugini reggiani ne rivendicano la paternità: Giovan Baglioni (in dialetto Zvan Baion), capitano di ventura, alla fine del ‘400 fece razzia nelle campagne reggiane di uova, zucchero e vino e mescolando il tutto rifocillò i suoi soldati affamati e stanchi. Sia come si vuole, quella crema aerea e allo stesso tempo di sostanza, morbida, vellutata arriva da lontano, ma è rimasta sostanzialmente uguale a sé stessa: pochi ingredienti, semplicità di esecuzione e sempre, anche quando fatta da chef, quella cura e quella attenzione che richiedono le ricette di casa. Il mezzo guscio d’uovo resta come unità di misura e la parte alcolica può essere di Marsala, di Madeira, di Cognac, di vini dolci o secchi. Montate tuorlo e zucchero con una frusta o un cucchiaio di legno (lasciate perdere il sifone), per ottenere un composto soffice, quasi bianco, spumoso; unite la parte alcolica versando a filo e continuando sempre a montare per amalgamare bene il tutto, quindi cuocete delicatamente a bagnomaria, finché lo zabaione non inizia a rapprendersi e a velare il cucchiaio. E ora, caldo o freddo, è pronto per arricchire torte o gelati, per essere raccolto con una lingua di gatto o solo così, abbondante in una tazza larga -per farsi, come il bambino di Artusi, i «baffi gialli». (I ghiottoni più impuniti sanno che ne esiste anche una versione salata con poco o niente zucchero, vino bianco secco, punta di senape, aceto di vino o balsamico Tradizionale con cui accompagnare zampone o cotechino).

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