HI-TECH
SHIREN THE WANDERER: THE MYSTERY DUNGEON OF SERPENTCOIL ISLAND (Spike Chunsoft, per Switch)
Per il sesto titolo principale della serie Shiren the Wanderer, giunto dopo un’assenza lunga quattordici anni rispetto alla precedente uscita (Shiren the Wanderer: The Tower of Fortune and the Dice of Fate, 2010), lo sbarco in occidente è avvenuto appena a un mese di distanza dallo strepitoso debutto nella madrepatria giapponese, segno del favore guadagnato ormai anche da noi da una serie così longeva, inserita all’interno dell’ancora più vetusta Mystery Dungeon, a sua volta primo spin-off dell’universo Dragon Quest del trio Yuji Horii, Akira Toriyama e Koichi Sugiyama. Genealogie che racchiudono una storia, dispiegatasi nell’evoluzione che ha interessato il mondo delle console Nintendo e Sony, dallo Snes al Nintendo 64, dal Game Boy all’intera famiglia del Nintendo Ds, da Wii alla Psp fino allo Switch, in una costante esplorazione del genere roguelike, con l’accento posto sui labirinti sotterranei generati casualmente (i mystery dungeon). Il protagonista di Shiren the Wanderer è un ronin, un samurai senza padrone che, in una sorta di versione fantasy del Giappone feudale, vaga ramingo in compagnia di Koppa, simpatico animaletto, donnola o furetto che dir si voglia, ovviamente parlante. Gli autori di Chunsoft (dal 2012 Spike Chunsoft) si sono sbizzarriti ad andare avanti e indietro nella cronologia delle avventure di Shiren. L’ultima, Shiren the Wanderer: The Mystery Dungeon of Serpentcoil Island, si colloca dunque appena prima del quarto episodio, Shiren the Wanderer 4: The Eye of God and the Devil’s Navel (2010), mai arrivato in Europa, e dopo Shiren the Wanderer GB: Monster of Moonlight Village (1996), ambientato nel villaggio di Tsukikage. Un ritorno al passato che si riflette nel gusto rétro delle scelte relative allo stile grafico (pur con l’introduzione degli scenari in 3D, dove i nostri eroi si muovono molto a loro agio), a ribadire come le imprese di Shiren germoglino su un albero dai diversi rami, la cui linfa ha alimentato adattamenti e crossover. Del resto lo stesso personaggio principale assomiglia nell’aspetto a Kogarashi Monjiro del ciclo di romanzi storici di Sasazawa Saho, portati sul piccolo schermo dal maestro del cinema Kon Ichikawa in una popolarissima trasposizione televisiva del 1972-1973. Anche Shiren, al pari di Monjiro, indossa il tradizionale copricapo in bambù, il kasa. Sistemate le numerose questioni affrontate a Tsukikage, ecco che, ripreso il suo viaggio, Shiren in The Mystery Dungeon of Serpentcoil Island viene sospinto da sogni premonitori sulla spiaggia di un’isola dove sarebbe sepolto un favoloso tesoro dei pirati. Vi si troverebbe anche una ragazza capitata nelle grinfie di un enorme mostro che l’ha imprigionata. Due mete da scovare potendo contare sull’aiuto insperato di chi è già sul posto, come la locandiera Suzuma e una vecchia conoscenza come la spadaccina Asuka, ma senza illudersi che la missione possa risolversi facilmente, in un crescendo di difficoltà. I i livelli iniziali sono adatti comunque anche ai neofiti, permettendo loro di familiarizzare con le dinamiche di un videogame capace di riservare sorprese agli stessi aficionados. Se si perisce, occorre ricominciare daccapo, privi di tutto ciò che eravamo riusciti a conquistare, dalle armi alle abilità, ma si può richiedere online il soccorso di amici per ripartire dal punto in cui eravamo caduti. Nell’attesa, possiamo a nostra volta lanciarci in missioni di salvataggio. In ogni caso la filosofia del videogame invita a considerare la sconfitta non necessariamente come una débacle, perché può dischiudere ulteriori segmenti narrativi che altrimenti sarebbero rimasti ignoti, ma soprattutto si rivela lo strumento per ampliare le opportunità della rigiocabilità, imparando dagli sbagli per impostare una strategia più efficace e sconfiggere le creature frapposte tra Shiren e i suoi obiettivi. L’isola di Serpentcoil pullula di segreti: esistono veramente le fantomatiche ricchezze protette dal mostro? E come mai quella giovane, chissà perché finita lassù, si è messa in contatto con il ronin?
THE THAUMATURGE (11 bit, per Pc)
Nel 1905 la Polonia, all’epoca trasformata in una provincia dell’impero russo, venne scossa da una massiccia ondata di proteste e di scioperi, mentre sulla stessa Russia soffiavano i venti della prima rivoluzione. È nella Varsavia di quel fatidico anno che Fool’s Theory, studio di Bielsko-Biala, detta la piccola Vienna della Slesia per la sua architettura Art Nouveau, ha scelto di ambientare The Thaumaturge, il gioco di ruolo con il quale si compie un viaggio nella storia e nell’immaginario del Paese dell’Est, all’alba di un secolo ancora fiducioso nel progresso scientifico e tecnologico, in fermento per le rivendicazioni sociali ed economiche dei lavoratori, attraversato dalle lotte per l’emancipazione femminile e ancora attratto dal retaggio del folclore recuperato con il Romanticismo e scopertosi affascinato da esoterismo e occultismo. In questo clima si inserisce la trama di The Thaumaturge, il cui protagonista, Wiktor Szulsk, è dotato di un potere che è anche una responsabilità e quasi una maledizione. Riesce infatti a vedere strane creature, capaci di approfittare delle paure e delle angosce degli uomini per dominarli. Invisibili a chi non possiede il dono tramandato nella famiglia Szulsk, i Salutor possono essere affrontati e sconfitti da Wiktor, impegnato nella missione di liberare l’umanità da questa piaga e, parallelamente, in un’indagine che lo riguarda molto da vicino. Una volta domati, questi essere mostruosi possono rivelarsi in un aiuto prezioso. Le loro fattezze e le loro vicende sono liberamente ispirati al pantheon - dal dio degli inferi Weles al vendicativo cavaliere Upyr, e a leggende slave, ma nel corso del gioco di ruolo si incontrano anche figure veramente esistite come lo zar Nicola II o il controverso guaritore Rasputin, accanto a personaggi che contribuiscono a rendere l’atmosfera cosmopolita di una capitale abitata da ebrei, polacchi, russi e dove il distretto Praga, situato sulla riva destra della Vistola, restava un luogo malfamato nel quale era necessario guardarsi le spalle. Szulsk deve comunque osservare bene l’intorno per scovare gli indizi indispensabili per procedere nelle sue inchieste, lungo un doppio binario che conduce ad aiutare gli altri e ad avere una maggiore consapevolezza di sé. Razionalità e magia si dimostrano strumenti altrettanto utili in questo viaggio in una città reale avvolta nelle ombre popolate di entità inafferrabili, oscure e terribili.
DICEFOLK (Good Shepherd Entertainment, per Pc)
Un videogame con il quale cimentarsi attraverso un semplice lancio di dadi, ma che diventa anche un raffinato gioco di carte con cui attuare complesse strategie: Dicefolk è proprio adatto sia a chi voglia concedersi un rilassante passatempo, sia a chi sia pronto a pianificare con cura ogni tappa. Nei panni di Alea, dotata del potere di farsi amiche creature temibili come le Chimere, si deve arrivare a sconfiggere lo stregone malvagio Salem che le ha evocate, mettendo a rischio la sopravvivenza dell’umanità. Per riuscire nell’intento, Alea raduna il suo esercito di Chimere, scegliendo in una galleria di oltre cento entità disegnate a mano, ciascuna con le proprie caratteristiche e abilità, che costringono a pianificare il dispiegamento di forze sulla base degli obiettivi prefissati. Come il suo popolo, i Dicefolk, la giovane sa come usare i dadi magici che rendono docili gli altri esseri viventi e oltretutto può contare su un talismano che annulla il giogo imposto da Salem sulle Chimere, rendendo queste ultime pronte ad arruolarsi per ricevere nuovi ordini. Coproduzione francese e peruviana firmata dagli studi Leap e Tiny Ghoul, Dicefolk richiede per reclutare ogni gruppo di Chimere uno specifico talismano, che va sbloccato di livello in livello, in un’avventura roguelite dove si controllano pure le mosse degli avversari. Per farlo, si utilizzano i nostri e i loro dadi per impostare il ritmo, l’ordine e il tipo di azione, la quale non comprende unicamente colpi da sferrare, ma una variegata serie di movimenti, altrettanto utili per il felice coronamento dell’impresa. Perdere il turno si rivela un’occasione per imparare in un titolo che resta sempre a portata di mano, nonostante solleciti una giusta dose di attenzione e, volendo, sia capace di manifestare una notevole profondità.
A VOID HOPE (Elden Pixels, per computer e Swich)
Una città desolata, un virus misterioso che circola incontrollato tra gli abitanti, una coppia che prova a sopravvivere. Lui e lei cercano di sorreggersi reciprocamente, ma perseguendo obiettivi concreti diversi, perché non c’è proprio nulla di certo nel futuro immaginato dallo studio svedese Elden Pixels. Difficile anche etichettare A Void Hope in uno specifico genere, perché non è precisamente un platform, né un puzzle game e neppure una classica avventura, ma prende un po’ da tutti questi ambiti per creare un gioco di forte atmosfera, dove il dubbio si insinua nel buio popolato di terribili creature e dove ciascun incontro può significare il contatto con il contagio oppure informazioni utili per scoprire cosa veramente stia accadendo. La musica accompagna in questo gorgo oscuro, cadenzando il crescendo di paura, mentre riuscire a identificare sinistri rumori può rappresentare la salvezza per sfuggire agli attacchi di animali appostati nell’ombra. Se per procedere occorre risolvere enigmi e osservare bene l’ambiente circostante, A Void Hope punta però, più che sulla logica, sull’istinto risvegliato dall’ansia di arrivare al giorno successivo, spingendo lo sguardo fin nell’abisso pur di guadagnare una via d’uscita. Al senso di precarietà contribuisce il fatto che, andando avanti, si ottengono le chiavi per accedere a luoghi in precedenza preclusi. Si deve dunque tornare sui propri passi per scoprire una realtà dietro la realtà, inoltrandosi tra i gorghi infernali di una comunità splendidamente disegnata in pixel art. Un luogo da sogno trasformato in un incubo.
ROOTS OF YGGDRASIL (Manavoid, per Pc)
Per Manavoid, software house canadese fondata dieci anni fa a Montreal, è un po’ una dichiarazione programmatica: mischiare con creatività i generi, esplorando le caratteristiche di ciascuno, per dar vita così a nuovi, intriganti melting pot. Nel caso di Roots of Yggdrasil, al di là di trovarsi davanti a un city builder che riprende la mappa esagonale dei wargame da tavolo ed è anche un roguelike a turni e un gioco di carte, colpisce però soprattutto l’idea di ripensare ai titoli post-apocalittici con un occhio di riguardo per la dilagante passione nei confronti della mitologia norrena e dei vichinghi. Ecco che stavolta la catastrofe all’origine di tutto diventa nientemeno che il Ragnarok, la serie di eventi devastanti accompagnati dalla caduta degli dei, al termine del quale però la Terra potrà risorgere più fertile e incantevole, pronta per essere ripopolata. Nell’avventura strategica (uscita con la formula dell’accesso anticipato) tocca a un’intrepida guerriera, Sunna, con gli altri superstiti del suo clan, la missione di riportare in vita Yggdrasil, l’albero sacro che collega la terra al cielo ed è circondato dai nove mondi della cosmologia nordica. Riuscire nell’intento non sarà facile, ma intrappolati in un loop temporale si avrà la possibilità di sbagliare e ricominciare daccapo, facendo tesoro delle proprie esperienze, mentre l’ambiente all’intorno cambia di continuo, con sfide inedite da prendere in esame di spedizione in spedizione, in una lotta contro l’orologio e il pericolo incombente dell’estendersi del Ginnungagap, l’abisso del nulla. Comunque non solo il contesto accuratamente cesellato, ma ogni personaggio è ispirato alle antiche leggende tramandate nell’Edda in prosa e nell’Edda poetica. Eppure nella loro versione disegnata come un classico cartoon appaiono alle prese con i problemi della quotidianità di uomini e donne reali, senza per questo cessare di essere, con naturalezza, mitici eroi. Al solito, niente può essere raggiunto senza le risorse necessarie, in termini di mezzi e di uomini, per cui occorre recuperare in loco o determinare le condizioni per riuscire a ottenere ciò di cui si ha bisogno, provando a ribaltare le avversità del destino.
ASTLIBRA REVISION GAIDEN: THE CAVE OF PHANTOM MIST (WhisperGames, per Pc)
Per Astlibra Revision, il gioco di ruolo d’azione 2D a scorrimento laterale sviluppato da Keizo, è arrivato l’episodio aggiuntivo The Cave of Phantom Mist. Occorre disporre del titolo di base per potersi poi lanciare nell’esplorazione del dedalo di grotte dove sono rimasti intrappolati gli abitanti più eminenti di Rispadar riuniti in una gilda, compreso l’eroe senza nome protagonista della precedente avventura dove si scopriva una strana bilancia, Libra, con il potere di cambiare il passato. Messi fuori combattimento gli altri personaggi, tocca adesso alla figlia del fornaio del paese, timida e solitaria, imbarcarsi nell’impresa di liberare i prigionieri, affrontando l’oscurità piena di insidie di quelle caverne, in un certo senso ricche di echi familiari, in quanto capaci di assorbire i ricordi delle persone. A sollecitare il suo intervento è un cane parlante, ma a spingerla ad affrontare ogni paura è anche la missione di salvare la sorella ammalata, perché i rapiti hanno la possibilità di fornire una cura. Combattendo migliorano le abilità e l’equipaggiamento (piuttosto fantasioso e originale), si imparano formule magiche formidabili, ma l’accento roguelike richiede di abbandonare ogni volta che si torna alla luce del sole quanto conquistato, riuscendo a mantenere unicamente ciò che si è in grado di portare con sé. C’è una storia, ma va ricostruita a poco a poco, unendo insieme gli elementi raccolti lungo una via costellata di nemici e pericoli, in luoghi che si generano casualmente, oppure ci si può soffermare a scambiare quattro chiacchiere con i compaesani, per ottenere in cambio oggetti o informazioni, allenandosi inoltre nell’arena per fortificarsi in duelli contro infinite schiere di mostri.
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