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Il 2025 di Bethesda riparte da un grande classico. La casa della space opera Starfield torna al fantasy. In attesa di The Elder Scrolls VI, che è in sviluppo ma per il quale toccherà aspettare ancora anni, si tratta di Oblivion, il quarto capitolo di una saga tra le più importanti per l’evoluzione dei videogame. Lo fa con una versione rimasterizzata che ridefinisce, di nuovo, gli standard del settore. Anche se si chiama The Elder Scrolls IV: Oblivion Remastered, si potrebbe benissimo parlare di remake. Bethesda ha comunque voluto evidenziare in maniera sottile l’indirizzo del progetto. Non un rifacimento daccapo che mettesse mano più in profondità alla struttura del gioco, ma lo stesso videogame di allora sotto un’inedita veste audiovisiva, aggiornata alle tecnologie attuali e in grado di restituire oggi un sense of wonder simile a quello provato la prima volta vent’anni fa. È la magia riuscita al team Virtuos che ha curato lo sviluppo della riedizione, uscita adesso per Pc, Ps5 e Xbox Series, in quest’ultimo caso nel formato Play Anywhere, che permette di giocare con un singolo acquisto digitale sia su Windows che su console Microsoft. L’originale risale infatti al 2006, in pratica due generazioni videoludiche fa. Ma con la Oblivion Remastered chi c’era e chi no può godersi al meglio l’esperienza completa di un pezzo di storia che mantiene intatta la capacità di catapultare in un reame fantastico, anche solo per il gusto di esplorarne ogni anfratto, finendoci risucchiati quasi senza accorgersene magari per centinaia di ore. Quando realizzi kolossal così intrinsecamente eterni, sui quali si può tranquillamente trascorrere a zonzo una vita intera, non si sente il bisogno di reinventare di continuo la ruota. Per questo gli Elder Scrolls appaiono centellinati, richiedono tutto il tempo che serve e dall’uscita dell’episodio più recente, The Elder Scrolls V: Skyrim, è passata addirittura una quindicina d’anni. Ciò non toglie che ciascuno, a proprio modo, ha rappresentato uno spartiacque non semplicemente nel panorama dei giochi di ruolo, ma per le grosse produzioni in genere.
L’incipit di Oblivion con Patrick Stewart ha fatto scuola. E poi la colonna sonora orchestrale da Oscar e la visionarietà di un’espansione come Shivering Isles (inserita nella Remastered insieme al resto dei vecchi contenuti scaricabili, a cominciare da Knights of the Nine), che a distanza di epoche rimane insuperabile già per la straordinaria sequenza d’apertura, oltreché per il tono allucinato tramite cui offre uno spaccato della ricchezza variegata del mondo di Tamriel, l’immaginario continente medievaleggiante dove Bethesda ha ambientato la saga. Dopo il salto di Morrowind, il terzo capitolo e il primo The Elder Scrolls compiutamente moderno, Oblivion è stato il titolo che ha democratizzato una precisa formula di crpg portata avanti dalla software house americana, introducendolo al grande pubblico il suo open world sconfinato nel quale immergersi totalmente, lasciando al giocatore la massima libertà di interpretare il personaggio che desidera come crede e in cui la trama principale, per assurdo, non si configura come necessariamente centrale. L’opera di Virtuos, sapientemente attenta a ricalcare i minimi dettagli con fedeltà assoluta pur cambiando ogni cosa per rievocare quella spettacolarità incisa, al di là dei bit, nella memoria, limitandosi a ottimizzare l’interfaccia e ad aggiungere un bel po’ di quality of life sopra la grafica potenziata, rende omaggio a una stagione eroica del digital entertainment, consentendo a tutti di scoprire o di riscoprire il bestseller di culto che ha riacceso la fame di fantasy e crpg arrivando a influenzare anche la pop culture successiva.
DA RIDDICK A INDIANA JONES, PASSANDO PER WOLFENSTEIN
Non è l’unica sorpresa del 2025 di Bethesda: ha riproposto su Ps5 la hit Indiana Jones e l'antico Cerchio, che aveva esordito su Xbox e Pc l’anno scorso, conquistando subito i fan. Di nuovo un’edizione curata, comprensiva di ottimizzazioni ad hoc in ottica Ps5 Pro, la console più potente sul mercato che può godersi un’avventura spettacolare. Anche se in casa Microsoft, nella cui orbita gravita oggi Bethesda, rimane il vantaggio del formato Play Anywhere. Oltreché su Xbox Series, lo stesso acquisto digitale funziona su computer Windows, dove Indiana Jones e l'antico Cerchio può spingersi alla massima fedeltà audiovisiva grazie a effetti come il ray tracing avanzato in chiave global illumination, a disposizione per le configurazioni ad alte prestazioni e capace di elevare ulteriormente l’esperienza. Firmato dagli svedesi MachineGames, Indiana Jones e l'antico Cerchio è un titolo molto cinematografico che riporta sugli schermi l’archeologo più famoso di Hollywood che tanto ha influenzato anche i videogame: direttamente, all’epoca dei punta e clicca Lucasfilm, e in senso lato, da Tomb Raider a Uncharted. Indiana Jones e l'antico Cerchio si distanzia delle altre serie individuando una sua via, che alterna filmati in terza persona all’azione in soggettiva, dove bisogna aggirare i nemici con approccio furtivo, risolvere enigmi ed esplorare lo scenario armati di frusta. Non è una semplice scusa per differenziarsi, ma discende dal dna di MachineGames, che arriva a Indiana Jones dopo aver rilanciato il mito di Wolfenstein e discende dalla Starbreeze di The Chronicles of Riddick: Escape from Butcher Bay, antesignano di un vero e proprio canone affinato negli anni. Indiana Jones e l'antico Cerchio è quella formula all’ennesima potenza. Come Riddick, più di Riddick, è tanto un gioco quanto un filmone capace di trasmettere nel virtuale le emozioni del grande schermo. Il migliore Indiana Jones possibile, il solo in grado di rievocare davvero le atmosfere dei classici, anche perché le magie del digitale permettono di avere ancora un Harrison Ford in perfetta forma che è la quintessenza di Indy. La cura per i dettagli di MachineGames fa il resto, studiando a fondo la materia e riproponendo tutti gli ingredienti del successo, ma con originalità, alla sua maniera, anche ingigantendo la messinscena come si addice a un videogame. Nessun Indiana Jones ha avuto un respiro più ampio e, mentre si viaggia da un angolo all’altro del globo, dal Vaticano all’Himalaya, dal Sud America all’Egitto, sulle tracce di leggende che si perdono nella notti dei tempi, vedendosela con i nazisti, non mancano i momenti memorabili.
E ORA DOOM
E non è finita. La prossima settimana tocca a Doom, altro titolo di culto in mano a Bethesda, che tra i suoi team vanta la storica id software, cui si deve il fenomeno dei first-person shooter scoppiato negli anni ‘90 proprio sull’onda di questa saga. Meravigliosamente rilanciata nel 2016 con il reboot Doom, seguito nel 2020 da Doom Eternal che faceva il verso a Doom II (1994), è pronta a ricevere Doom: The Dark Ages, il terzo e più innovativo capitolo della nuova trilogia, un prequel ambientato in una sorta di medioevo techno gotico dove lo Slayer, armato fino a denti, continuerà a esibirsi nella sua specialità: falcidiare orde di demoni. Tanta azione come non se ne gustava da tempo, in un revival che mette sul piatto forma, sostanza e tecnologia, rinvigorendo anche quell’estetica heavy metal che è diventata un marchio di fabbrica di una delle grandi icone dei vieogame.
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