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The Dark Ages: il mito di Doom non muore mai

The Dark Ages: il mito di Doom non muore mai

di Riccardo Anselmi

26 Maggio 2025, 15:55

Il mito di Doom non muore mai. Dagli anni ‘90 ai giorni nostri. E di mezzo c’è sempre anche molta tecnologia: l’id Tech che torna a ruggire in Doom: The Dark Ages. Sembra quasi di essere di nuovo al periodo in cui la grossa sfida tra compagnie americane come Epic e id Software, hit come Unreal e non tanto Doom, ma la sua evoluzione in 3D, cioè Quake, al di là dei singoli giochi vertesse appunto sulla supremazia di un motore grafico rispetto all’altro. Oggi l’Unreal Engine, giunto alla versione 5, va per la maggiore: si tratta dello strumento di creazione più utilizzato dagli sviluppatori di tutto il mondo. Non è stato però sempre così. Persino l’epopea di Half-Life, prima di instradarsi nel solco del Source, il motore in-house di Valve che contribuì profondamente al successo di Half-Life 2, nel 1998 nacque da una costola dell’id Tech di allora. Lunga vita ai motori grafici proprietari.

Senza l’id Tech, Doom non sarebbe lo stesso. Doom: The Dark Ages brilla anche per il fatto di essere costruito insieme a un motore su misura, aspetto che sempre meno studi sembrano volere o potere permettersi. D’altronde l’id Tech fa parte del dna di id Software fin dalle origini. Ha accompagnato reciprocamente i vari passaggi generazionali, da Doom a Quake e ancora Doom, con le parentesi dei Wolfenstein, compresi gli ultimi riusciti capitoli firmati da MachineGames, che ha potuto contare sull’id Tech anche per il suo fenomenale Indiana Jones e l’antico cerchio, sotto l’egida dell’editore comune Bethesda. In quel caso un adattamento ad hoc dell’id Tech 7 messo in campo per Doom Eternal (2020), il secondo capitolo di una sorta di trilogia reboot iniziata con il Doom del 2016 che si realizza pienamente adesso, attraverso un prequel, Doom: The Dark Ages, che tira le fila dell’intera saga portando al debutto lo spettacolare id Tech 8. Un motore che veste a meraviglia le ambizioni da kolossal del titolo, capace di dare corpo alla grandiosità dell’immaginario power fantasy di Doom: The Dark Ages, in cui non si falcidiano solo nemici al ritmo frenetico dei first-person shooter old school, ma si assiste alla saldatura narrativa del mito di Doom, un elemento rimasto a lungo sullo sfondo deciso però a emergere attraverso la recente trilogia.

The Dark Ages è allo stesso tempo il più fedele revival dello spirito classico del re degli sparatutto per antonomasia e un’epica esperienza cinematografica della saga per la quale Eternal aveva gettato le basi. Intanto raccoglie un po’ anche l’eredità dei figli spirituali, da Serious Sam a Painkiller, reinserendo al centro del gameplay quelle orde di demoni che almeno in casa id Software non apparivano così nutrite dagli anni ‘90. Ancora una volta merito dello stretto legame con lo stupefacente id Tech, tutto fluidità, numeri da urlo e azione, in grado di ribaltare parecchie convinzioni senza bisogno di sacrificare nessuna sciccheria. Anzi, l’id Tech 8 rappresenta uno straordinario manifesto degli ultimi ritrovati della tecnologia, ma sapientemente ottimizzati in maniera organica al progetto e mai fini a se stessi. Anche il ray tracing, in The Dark Ages assurto a vero standard multipiattaforma che dal non plus ultra dei Pc si estende alle console Ps5 e Xbox Series X/S, diventa la chiave di lettura per mostrare magistralmente sullo schermo, anche tramite le ardite sfumature di luce, i vigorosi effetti atmosferici e le esplosioni più incredibili, l’essenza heavy metal dell’universo di Doom, in un episodio medievaleggiante che riunisce al meglio le varie influenze horror, fantasy e sci-fi. Una crociata travolgente e viscerale che vede lo Slayer in forma smagliante pronto a riprendersi il trono del genere.

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