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DANILO COPPE

Tragedia Moby Prince, ora indaga «mr Dinamite»

Tragedia Moby Prince, ora indaga «mr Dinamite»

13 Dicembre 2021, 03:01

Perché le 140 persone a bordo del Moby Prince sono morte dopo che il loro traghetto si è scontrato con una petroliera? A trent'anni da quel disastro davanti al porto di Livorno ci sono ancora molti dubbi. Troppi.

Ma dopo tutto questo tempo ha senso continuare a indagare?

«Sì, primo perché sono ottimista di natura e poi perché le nuove strumentazioni elettroniche possono trovare tracce di esplosivi con un grado di affidabilità maggiore rispetto a quello delle strumentazioni esistenti negli anni Novanta». Una frase che, se letta con attenzione, punta una nuova luce su un mistero che dura dalle 22.25 del 10 aprile 1991, il giorno della collisione fra il traghetto e la petroliera. A parlare è l'esperto di esplosivi Danilo Coppe, 58 anni, a pochi giorni di distanza dalla nomina a consulente tecnico della procura di Firenze nel nuovo filone di indagine sulla possibile presenza di esplosioni o di esplosivi a bordo delle due navi.

«Diversi pentiti parlarono di esplosivi trasportati illegalmente sul traghetto. Esplosivi della criminalità organizzata. Dopo il disastro sono state formulate tantissime ipotesi. Il risultato fu una grande confusione. Quindi, ha sempre senso cercare la verità», afferma l'esperto parmigiano, a cui piace autodefinirsi «bombarolo etico».

Sul disastro del traghetto Moby Prince le ipotesi che si sono accavallate nel corso degli anni sono state numerose. E spesso anche fantasiose: nebbia improvvisa (testimoni oculari sosterranno il contrario), avaria del timone del traghetto e distrazione a causa di una partita di coppa fra la Juve e il Barcellona che avrebbe «ipnotizzato» tutti davanti allo schermo. Una spiegazione più inverosimile dell'altra.

A Coppe la procura fiorentina ha affidato il delicato compito di sgombrare il campo da ipotesi fantasiose con le armi della scienza, provando a seguire la pista dell'esplosione o dell'esplosivo a bordo.

Ma a trent'anni di distanza è ancora possibile trovare nuove prove? «Ora le strumentazioni elettroniche possono trovare tracce di esplosivi con un grado di affidabilità molto maggiore rispetto agli anni Novanta». E allora via con le indagini.

«È stata ipotizzata un'esplosione nel locale eliche e quindi esaminerò anche questo aspetto. Spero che le diverse perizie abbiano documentato tutto. Nelle carte che ho esaminato fino ad ora mi aspettavo una marea di foto decenti del traghetto. Purtroppo ne ho trovate poche. Ora l'obiettivo è fare chiarezza e non avere nessuna preclusione. Condurrò le indagini a 360 gradi».

A questo punto, l'unica speranza di Coppe è di poter lavorare su reperti in buono stato di conservazione, altrimenti anche le nuovissime tecnologie potrebbero rivelarsi inutili. «Prima di elaborare una strategia investigativa dovrò vedere quali materiali avrò a disposizione. Per questo dovrò aprire gli scatoloni conservati presso il tribunale di Livorno e vedere cosa è stato repertato all'epoca. Stiamo parlando di pezzi di nave, ceneri, tessuti. L'importante è che i reperti siano ben conservati».

Le premesse però rischiano di scoraggiare anche uno caparbio come Coppe. «Il traghetto, che era ormeggiato nel porto di Livorno, affondò. Venne ripescato e poi fu spedito in Turchia, dove è stato demolito». Era il 1998 e questa decisione ha infittito il mistero attorno alla tragedia, alimentando nuovi sospetti.

«Non credo che qualcuno abbia voluto far sparire una nave totalmente bruciata, quindi con ancora poche tracce da rilevare. Ma i cardini della corrette investigazione – spiega l'esplosivista laureato in criminologia – prevedono che dove ci sono dubbi, si conservi il materiale per permettere ulteriori indagini. In Italia, dopo le grandi tragedie, è sempre mancata una regia investigativa efficace. Alla fine è la carenza di metodo che alimenta i complotti».

L'esplosivista indagherà anche sulla petroliera della flotta navale della Snam. «Per ora sappiamo che l'Agip Abruzzo è stata ceduta. Vorrei sapere se è ancora in navigazione o se è diventata lamette da barba. Ma soprattutto dove è stata riparata». I familiari delle 140 vittime aspettano risposte da trent'anni.

Pierluigi Dallapina

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