Editoriale
È dal 1991 con il referendum che ridusse a una preferenza, anziché le tre consentite della legge elettorale in vigore dal 1946, che siamo puntualmente alle prese con il problema cronico di trovare un sistema che garantisca la ‘’governabilità’. Vocabolo odioso, nelle nostre mani, perché ha prodotto quasi sempre l’ingovernabilità . Mentre Paesi come l’Inghilterra, la Germania e la Francia da anni e annnorum votano con lo stesso sistema, da noi suppergiù a ogni legislatura, vale a dire ogni cinque anni, ecco che i nostri parlamentari sentono l’esigenza di cambiare metodo, nella convinzione che si possa trovare un sistema che risolva il problema della frammentazione parlamentare, che permetta o costringa i partiti a formare solide maggioranze che assicurino ai governi un minimo di ‘’governabilità’’ e innanzitutto, ovviamente, la possibilità di durare un’intera legislatura, cioè cinque anni. Che questo traguardo sia rimasto una chimera, la dice lunga sull’incapacità stessa del sistema partitocratico di garantire un’autentica democrazia : condizione irraggiungibile nel significato etimologico del termine, ché il demos ateniese esercitava una primazia in un contesto di ventimila abitanti dei quali diecimila schiavi.
Ma comunque il sistema elettorale in vigore dal 1946 al 1993, garantiva la possibilità reale di delega democratica in teoria perfetta: 32 circoscrizioni plurinominali, con seggi variabili a seconda della popolazione e quella per il Senato l’elezione era su base regionale, come previsto dalla Costituzione.
Certo non si raggiunse mai l’obiettivo di far durare i governi per un’intero quinquennio, anzi si toccò il record opposto: governi che duravano pochi mesi, e addirittura a tempo: come i governi balneari, stupenda confessione quasi di governo- badante in attesa del rientro dei big dalle vacanze estive. Ma c’era una spiegazione che risaliva alla spartizione del mondo concordata dagli Alleati, nel summit di Yalta: l’Italia diventava un Paese della Nato. E pur essendo il Pci il partito comunista più forte dellOccidente, l’impossibilità di poter raggiungere il potere, per la famosa ‘’conventio ad excludendum’’ , di fatto impedì l’alternanza possibile di governo.
Di qui l’infinita possibilità della Dc prima e poi dei centrosinistra e poi viva via tri-.quadri-pentapartiti a formare maggioranze a iosa. Poi nel 1990 la questione istituzionale diventa sempre più calda. Il sistema partitocratico implode sotto il peso di una corruzione dilagante, si profila all’orizzonte l’Armata Giudiziaria che nel giro di quattro anni sbricilolerà i partiti storici che avevano fatto l’Italia repubblicana. La grande crisi di rappresentanza manda i frantumi il patto tra elettore ed eletto. ,Nel 1993 ecco il nuovo sistema elettorale che segna il passaggio dal proporzionale puro al maggioritario, il Mattarellum, firmato dal presidente Mattarella, allora ministro democristiano.
E’ un maggioritario in realtà annacquato: si applica l’uninominale a turno unico per i tre quarti dei seggi della Camera e del Senato, e un ripescaggio proporzionale dei candidati più votati tra i non eletti per l’assegnazione del rimanente 25 per cento dei seggi al Senato. E un proporzionale con liste bloccate e sogila di sbarramento al 4 per cento per il rimanente 25 per cento dei seggi alla Camera.. Il sistema funziona bene ma nove anni dopo incomincia l’andazzo folle con il Porcellum, nel 2005,voluto dalla Lega, relatore Calderoli, talmente consapevole di aver creato un mostriciattolo da defnirlo lui stesso ‘’una porcata’’. Niente voto di preferenza, liste bloccate, forte premio di maggioranza alla lista vincente. Si vota e dopo un po’ la Corte costituzionale lo boccia. Nel 2015 è la volta dell’Italicum a cadere sotto la mannaia dell’Alta Corte; nel 2017 ecco il Rosatellum e il Rosatellum bis, cioè la legge con la quale abbiamo votato nel 2018.
E’ un sistema misto che non funziona bene, anche perché prevede due sistemi diversi per Camera e Senato.
E produce un risultato ineffabile. Spinge i partiti a presentarsi in coalizioni nate prima delle elezioni e di conseguenza spesso raccogliticce , sicché una volta entrate in Parlamento e diventate tutte determinanti le forze votate dagli elettori spesso tradiscono il mandato ricevuto in campagna elettorale.
E qui sta il problema vero, lo scandalo dei cambi di casacca. In Pal+rlamento: Dal 2013 ad oggi, vale sa dire una legislatura intera e questa in corso, 852 parlamentari -576 dal 2013 al 2018; 276 da 2018 a oggi- hanno cambiato gruppo, c’è chi ha ciabattato in nove posizioni, prima di trovare la convenienza di un posto, magari lui eletto sulla base di una campagna all’attacco alle stesse forze che ora accolgono il pentito transfuga.
Forse il sistema elettorale giusto per noi italiani è come l’Araba fenice, che vi sia ciascun lo dice dove sia nessun lo sa. Adesso si sente parlare di nuovi sistemi: Brescellum, Germanicum. Ma senza una riforma del Parlamento non se ne uscirà certamente.
La comodità del trasloco vantaggioso è dura a morire, in un Parlamento ridotto a una succursale Gondrand.
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata