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Cassazione

Risarcita una parmigiana infettata con tre trasfusioni nel 1974

Risarcita una parmigiana infettata con tre trasfusioni nel 1974

18 Febbraio 2022, 03:01

«Troppo tardi» le dissero in primo grado e le ripeterono in appello. In sintesi: quel che è stato è stato, e le conseguenze sono solo a carico suo. Tra queste anche il pagamento delle spese legali per lei che aveva inutilmente fatto causa due volte. E così quelle lontane trasfusioni, oltre al sangue infetto, a una pensionata parmigiana sono costate una buona dose di sangue marcio. Fino al colpo di scena finale, quando la Cassazione le ha dato ragione. Nella propria battaglia, la donna è stata patrocinata dall'avvocato Giovanni Franchi, da tempo impegnato sul fronte malasanità. E ora il presidente di Konsumer Emilia sottolinea l'importanza della «pronuncia, perché consente a tanti che hanno subito danni alla salute a causa del sangue infetto di ottenere il ristoro del pregiudizio patito».

Protagonista (e vittima) di questa vicenda è una splendida settantenne, madre di famiglia. Fu proprio dopo un parto nel 1974 che dovette essere sottoposta a tre trasfusioni in ospedale, per una grave emorragia. Ci sarebbero voluti parecchi anni, perché sapesse di aver contratto l'epatite C. «Mi sentivo sempre stanca - racconta lei -. Dalle analisi del sangue emersero valori che rivelavano seri problemi al fegato. Così mi diagnosticarono l'epatite C».

La vita della donna cambiò. Anche per la paura di trasmettere il virus. «Avevo la psicosi - ricorda lei -. Mi era stato detto che il contagio avviene attraverso il sangue, ma io le studiavo tutte per moltiplicare le cautele». E intanto la donna dovette sottoporsi a sei mesi di terapia con l'interferone e altri farmaci. «Cura tutt'altro che leggera». Sono trascorsi 12 anni: la pensionata ora sta meglio. «Ma lo specialista vuole controllarmi ogni due anni. Mi sento un po' come in libertà vigilata».

Fu nel 2005 che partì la causa civile. Con le due sconfitte iniziali. Sia per Parma che per la Corte d'appello era subentrata la prescrizione: da quando la querelante aveva avuto contezza del danno (nel settembre del 1996) al momento della richiesta erano passati più di 5 anni, il tempo limite per avere diritto al risarcimento del danno derivante da un fatto illecito. Di opposto avviso fu la Cassazione, alla quale nel 2018 si era appellato Franchi. La Suprema corte ha infatti stabilito che in questi casi il termine è decennale e decorre da quando il danneggiato presenta la richiesta di indennizzo secondo le prescrizioni della legge 210/92.

«La Cassazione - chiarisce Franchi - non poté ovviamente condannare il Ministero, ma rimise gli atti alla Corte d’appello perché provvedesse al risarcimento». La causa prese tutta un'altra piega. Non solo per l'aspetto temporale, ma anche per questioni di metodo. Per i giudici bolognesi, infatti, era errato anche affermare che al Ministero non si potesse rimproverare l’omessa assunzione di cautele all’epoca non ancora conosciute. D'accordo, mancavano le specifiche conoscenze sul virus dell’epatite C (con i suoi anticorpi sarebbe stato scoperto solo nel 1999), ma era già comunque maturata la consapevolezza dei rischi inerenti all’uso del sangue e degli emoderivati per scopi terapeutici. Già per questioni statistiche era chiara la necessità di procedere a scrupolosi controlli prima di utilizzarli.

Così, dato l'incarico a un perito di quantificare il danno, i giudici bolognesi hanno condannato il Ministero della Salute al pagamento, a titolo risarcitorio, di 37.612,50 euro alla pensionata parmigiana. Somma alla quale vanno aggiunti gli interessi e la rifusione delle spese di lite di tutti i gradi del giudizio. Ma qui subentra un altro motivo di disputa. Gli interessi dovrebbero scattare dalla pubblicazione della sentenza, secondo Bologna. «Quando invece il diritto di mora decorre da quando è stato commesso il fatto: ossia dal 1974». Inutile dire quanto cambierebbe la cifra in questo caso. Sta per partire un altro ricorso. Siamo ancora al «troppo tardi», che ora corrisponde anche a un «troppo pochi».

Roberto Longoni

© Riproduzione riservata

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