Personaggi
Chi nasce italiano, chi lo diventa per scelta, chi per speranza o il suo contrario. Halla Margret Arnadottir, la nazionalità l'ha presa per passione, affrontando il passaggio a percorso compiuto da quel dì, lei ormai radicata al punto di poter sostenere l'esame anche in dialetto.
«Non c'era fretta - spiega -, l'Islanda fa parte dell'Efta: per me non era un'urgenza burocratica come per altri. Ma mi sembrava giusto e ora vorrei avere anche il diritto di votare e magari impegnarmi in politica». Grata a chi le ha offerto pasticcini e vino per suggellare la cerimonia in municipio a San Secondo, ammette che avrebbe preferito in dote una copia della Costituzione e un tricolore. Più italiana di molti italiani da sempre.
Oltre alla figlia, fino al giuramento Halla era l'unica islandese residente in provincia di Parma. Ora è a tutti gli effetti una connazionale dall'accento vichingo e ben più bionda della media. In Italia è sbarcata tre decenni fa, con una bimba di sette mesi a sua volta in procinto di prendere la nazionalità in questi giorni, ma a Parma. «Anche noi - ricorda Halla - abbiamo sofferto il razzismo, siamo state guardate con sospetto. Chi cambia patria deve saper lottare e farsi valere. Sbaglia chi cade nel vittimismo. Bisogna diventare orgogliosamente cittadini del Paese nel quale ci si trasferisce». Troppo complicato presentarsi come Gudfinna Hlin Kristjonsdottir, per la trentenne figlia ostetrica-ginecologa? Chiamatela Finna: può valere anche come cognome.
Ma torniamo alla mamma (un anno e tre mesi fa diventata nonna di Matilda Margret, nata da Finna e dal suo compagno Riccardo Viola). Diplomata a Reykjavik, in Italia la soprano era venuta per perfezionare il canto. A furia di seguire spartiti come mappe, doveva per forza approdare a Parma. Da dove non è più andata via. «Arrivai nel 1998 - racconta - e conobbi il mio futuro marito, Paolo Di Vita. Ebbi la fortuna di lavorare con artisti dello spessore di Eugenio Furlotti, Corrado Abbati e Lucetta Bizzi. Cantavo nelle operette: si girava in lungo e in largo. Ho imparato tanto. Capitava di eseguire il “Pippistrello” di Strauss anche due volte al giorno...». Dopo tre anni di meravigliosa fatica itinerante, il passaggio all'opera. Halla ha cantato con Pavarotti, nel 2009 ha interpretato Turandot al Teatro dell'Opera di Roma, si è esibita davanti a Benedetto XVI... Al Comunale di Felino, come in molte altre piazze, ha dato voce a Santuzza (siciliana atipica): a fine recita, applausi, richieste di bis, fiori e sorrisi. E il dono di un salame e di una bottiglia di vino che la fece sentire a casa. Ecco, l'Italia. Parma.
Dal palco al bancone
«Fu mio marito il primo a farmi comprendere il valore della parmigianità - racconta -. Un bene prezioso che ci rende particolari». Paolo: socio e sposo. Con lui Halla ha aperto la caffetteria Pulcinella (l'uccello simbolo dell'Islanda): una prima volta in via Imbriani e poi, nel 2011, in piazzale Picelli, dov'è tutt'ora. Dal Paese delle pulcinella (di mare) al Paese di Pulcinella, lo Stivale da noi stessi definito così, quando vogliamo denigrarci. «E invece è il bello degli italiani: la fantasia, la creatività, il cadere sempre in piedi. Anche se purtroppo ho visto le cose cambiare. La globalizzazione riduce le particolarità».
Doppia passione
Soprano e gerente di un locale nel cuore dell'Oltretorrente, anima divisa in due, Halla si impegna in prima persona su questo fronte, di retroguardia o avanguardia a seconda dei punti di vista. «Voglio dare il mio contributo, frenare l'andamento verso l'omologazione». Lo fa da titolare di una caffetteria che serve piatti con spiccati accenti scandinavi e non solo (si pensi al baccalà con curcuma e curry e ai cinque cereali con zucchine e salmone...) in questi giorni entrata nel Registro eccellenze italiane. E lo fa da soprano. Non è un caso che nel locale, oltre alle sedie dell'800 si trovi un pianoforte del 1928. «Verticale, ma con una cassa armonica di legno così buono da sembrare un quarto di coda»: protagonista di concerti per pochi eletti, di musica classica, irlandese, di qualsiasi tipo. La musica è colonna sonora e protagonista nella vita di Halla. «La mia seconda azienda - spiega lei - è la compagnia “L'opera in piazza”, con la quale collaborano tanti validi artisti locali. Chiuso con le tournée, ho deciso di impegnarmi in ciò che più adoro: la lirica». Suo scopo, riavvicinare la gente all'opera.
Tra canti e dialetto
Con Claudio Cavazzini, presidente della Famija Pramzana ha avviato una collaborazione per riunire due concentrati di parmigianità: dialetto e opera, con spettacoli basati sulle arie più note. Sono stati rappresentati in piazzale Picelli, ma anche al teatro Sant'Evasio e nei castelli, prima che il Covid facesse calare un sipario ora carico di polvere. «Ho inventato due personaggi, entrambi barboni: Otello, ignorante e da sempre povero, e Strajè, in miseria dopo aver sperperato tutto - dice Halla -. Spiegano le opere al pubblico: il primo traduce in dialetto ciò che racconta Strajè». Il risultato? Tutti affascinati da spettacoli che divertono e avvicinano alla lirica anche chi non ha mai varcato la soglia del Regio. A modo suo («senza nulla togliere ad associazioni che fanno già tanto da tempo, come Parma lirica e la Corale Verdi») la soprano venuta dal freddo vuole ridare il calore del popolo a quest'arte nata per il popolo. «Ora per esempio è quasi una maleducazione applaudire a scena aperta. Un po' mi rattrista: penso che il coinvolgimento spontaneo, popolare, faccia parte della lirica». Ovvio che il suo spazio naturale da spettatrice al Regio sia il loggione. Dove c'è posto per due fette di salame e un bicchiere di vino tra un atto e l'altro. Tradizioni che l'hanno fatta sentire a casa fin da subito. Le mancherebbero, se fosse lontana: come le mancano le aurore boreali, il vento gelido dell'Artico, gli spazi infiniti e il silenzio. «Ma qui ho scoperto la bellezza dei temporali che in Islanda mancano. E poi, con il mio cane faccio meravigliose passeggiate lungo il Taro. Amo la Bassa, non solo per il carattere della sua gente: i miei grandi spazi islandesi ora li trovo qui».
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