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Al Regio

«La Favorita» nel segno della pace piace ma non «scalda»

«La Favorita» nel segno della pace piace ma non «scalda»

26 Febbraio 2022, 03:01

«La musica è un linguaggio universale. Auspichiamo che il conflitto armato in Ucraina possa terminare al più presto». Non poteva mancare l’auspicio di ritorno alla pace, di cui si è fatto portavoce il Teatro Regio, all’inizio di una serata d’opera caratterizzata sostanzialmente da un clima sereno. È tornata infatti in scena a Parma ieri sera, dopo 40 anni di assenza, «La Favorita» di Gaetano Donizetti, secondo titolo della Stagione Lirica 2022 del Regio, nella traduzione italiana del librettista Francesco Jannetti.

Se si temeva si riverberassero sulla serata le tensioni che hanno circondato il nostro Teatro nelle ultime settimane – riguardanti come noto il Coro del Teatro Regio – in realtà tutto è scorso senza intoppi nel corso della rappresentazione. Il pubblico, un po’ in sottonumero (si sa che, purtroppo, a Parma i titoli meno noti lasciano qualche poltrona vuota) è rimasto all’inizio un po’ distaccato, ma si è andato pian piano scaldando. Opera del Donizetti maturo, caratterizzata da un belcanto che si avvia verso lo stile del primo Verdi, è stata qui interpretata da un cast che nel complesso ha saputo destreggiarsi nelle asperità di una scrittura non semplice, che chiede molto alle voci.

Anna Maria Chiuri, se pur un poco fuori dal proprio territorio, ha conquistato il pubblico che l’ha applaudita anche a scena aperta (dopo l’aria «O mio Fernando!»), tratteggiando una Leonora dal profilo fiero. Molto apprezzato Simone Piazzola nel ruolo di Alfonso XI, bella voce profonda quella di Simon Lim (Baldassarre). Applausi anche per Celso Albelo (Fernando), nonostante qualche forzatura negli acuti e qualche genericità timbrica, e per i due comprimari Renata Campanella (Ines) e Andrea Galli (Don Gasparo).

Qualche perplessità ha suscitato il nuovo allestimento realizzato in coproduzione dal Teatro Regio di Parma con il Teatro Municipale di Piacenza (dove l’opera è andata in scena il 18 e il 20 febbraio), firmato da Andrea Cigni che sceglie di ambientare tutta la vicenda in una sala anatomica universitaria, mettendo allo scoperto i nervi della drammaturgia, e dissezionandone gli elementi, come appunto in un’autopsia… Le scene di Dario Gessati, illuminate dalle luci di Fiammetta Baldiserri, riproducono le gradinate di un teatro anatomico, con spalti semicircolari che si muovono attorno alla scena. I personaggi vengono portati sul palcoscenico distesi su lettini, vestiti solo di una tuta bianca, ancora privi di un ruolo che assumono nel momento in cui indossano davanti agli spettatori gli abiti di scena: maschera, corazza e prigione al tempo stesso. Sono i costumi di Tommaso Lagattolla che, tra il medievale e il fiabesco, portano l’unico tocco di colore in un ambiente monocromatico e asettico. Il coro ha in tutto ciò una funzione simile a quella del coro greco, non tanto personaggio interno all’azione quanto osservatore: commenta ciò che avviene sulla scena scrivendo parole su cartelli che mettono allo scoperto i meccanismi drammaturgici. La regia dei movimenti è d’altra parte limitata al minimo. Applausi - e qualche buuh - per Matteo Beltrami sul podio dell’Orchestra Filarmonica Italiana (per la cronaca, è dovuto ricorrere a una brevissima interruzione, nel primo atto, per un problema tecnico) e il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, preparato dal maestro Corrado Casati.

Lucia Brighenti

Le interviste nel foyer

Sarà anche la favorita del Re, ma quella di Donizetti non è certo, tra le sue opere, la favorita del pubblico e l’esecuzione di ieri sera, non senza inciampi, non ha aiutato a farla entrare nelle grazie degli appassionati. Colpa di una storia lacunosa, un intreccio superficiale e momenti musicali rimasti irrisolti, l’opera non decolla. «Favorita mancava da 40 anni ma direi che possiamo lasciarla dov’è per altri 40 - scherza Anna -. Battute a parte mi è sembrata una buona idea riproporla evitando i soliti titoli. Tra i solisti quello che mi è piaciuto di più è Piazzola che ha una voce piena dal timbro vellutato che ricorda Bruson. Le sue arie cantate con nobiltà d’accento mi sono piaciute più dei cartelli sollevati del coro. Già visti, basta. Molto bene anche il Baldassarre di Simon Lim, ha gola e colore».

In platea c’è la favorita tra le annunciatrici della tv Maria Giovanna Elmi, ospite del medico del Regio Irma Mazzola: «Ero molto curiosa perché è un’opera che non si fa mai e proporla mi sembra una bella operazione culturale. Certo Verdi è un’altra cosa ma il cast mi sembra equilibrato. La regia andrebbe spiegata». Per suo marito Gabriele Massarutto, il vero appassionato di lirica nella coppia, «Donizetti fa fare tripli salti mortali ai cantanti, specie al tenore tanto che non si ascolta con rilassatezza. La voce è spesso nuda con poca orchestra sotto e il ruolo è difficilissimo. Bravo il baritono e la protagonista». Il signor Luca dice che gli sembra «un bel debutto per la Chiuri che però preferisco nel repertorio verdiano dove mi sembra più incisiva. A parte qualche acuto sgranato la sua è una buona, prova. Albelo ha squillo ed è una macchina spara acuti anche se l’emissione è un po’ nasale e la stecca iniziale è imperdonabile. Ho apprezzato la direzione del maestro Beltrami che dalla bellissima sinfonia in poi è riuscito a dare sostanza ai momenti morti della partitura e a rendere bene i bellissimi i concertati».

Nel centro del foyer, dove si vivisezionano le voci, si confrontano alcuni membri del Club dei 27 guidati dal presidente Enzo Petrolini che spiega con ironia che «questa scenografia e regia sarebbero piaciute al nostro compianto socio Gennari che rappresentava Battaglia di Legnano ed era primario della Medicina legale. A noi proprio non convince. La Chiuri al momento sta cantando bene». Al signor Bertani è piaciuta «l’idea che il costume permette ai personaggi di essere protetti fino a quando non devono rivelarsi per quello che sono, ma alla lunga il meccanismo diventa un po’ ripetitivo. I costumi sono importanti e con bei colori, mi sono piaciuti. I copricapi sembrano un po’ fantasy. La scena seppur non invasiva è troppo glaciale. Di questi tempi vedere un obitorio e i cantanti portati dentro con quei carrelli d’acciaio da sala d’autopsie, insomma non mi ha convinto. La musica però ci ha fatto dimenticare gli orrori dell’attualità. Ben venga».

Ilaria Notari


Le interviste in Loggione

È stata una serata decisamente calda quella del loggione. No, non per l'accoglienza nel bene o nel male dell'allestimento della Favorita. Il caldo, piuttosto, è stato favorito dalle mascherine FFP2 e dai cappotti che gli spettatori hanno tenuto sulle ginocchia non potendo lasciarli nel guardaroba. Tutto è proceduto senza vere e proprie contestazioni, ma anche senza grande entusiasmo, almeno fino alla prima parte dell'opera, e tutti gli applausi si sono propagati timidamente partendo dalle parti più in basso del teatro. Non sono mancati, comunque, commenti sferzanti e appena il sipario si è alzato, lasciando intravedere le teche di vetro che contenevano i costumi, l'immaginazione di una loggionista è volata verso qualcosa, per certi aspetti, più antico dell'opera stessa: «Eh, ve' le cabine telefoniche».

«Si parla spesso di allestimenti semi-scenici - ha commentato un altro - ma questo si direbbe quasi semi-concertistico nella sua staticità».

È stato proprio l'allestimento a destare le maggiori perplessità. «Si vede proprio che è uno spettacolo ideato sotto l'influsso del periodo più nero del Covid e tra i cartelli tenuti in mano dal coro manca soltanto quello di "Andrà tutto bene!''». C'è anche chi sembra inizialmente appoggiare certe idee registiche: «Lo trovo un allestimento molto furbo che non si pone il problema di giustificare le stranezze della versione italiana del libretto di quest'opera: potrebbe, infatti, adattarsi in modo convincente a qualunque altra opera; anzi... di più», concludendo in modo ironico. Non tutti però la prendono sul ridere e una loggionista si è sentita particolarmente turbata dalla macabra ambientazione: «Non è passato molto tempo che mio marito mi è stato portato su un lettino così e non ce la faccio a guardare». La parte dei loggionisti più legata alla tradizione si chiede, a più voci: «Perché non possono essere fedeli al libretto i registi di oggi? Se vogliono fare quelli che gli pare perché non scrivono un opera loro?». Tanti si ricordano di quando quarant'anni fa avevano ascoltato la stessa opera al Regio, cantata da Alfredo Kraus e la nostalgia si fa sentire in modo potente. «Questa è un'opera che si fa poco, non senza un motivo - commenta uno spettatore - e infatti è molto difficile trovare delle voci adatte. Stasera non ci siamo mica».

A dire il vero i cantanti principali, soprattutto Leonora e Alfonso, e anche i personaggi minori sono stati apprezzati da tanti loggionisti «la direzione però - aggiunge uno - non ha rispettato il romanticismo di Donizetti».

Giulio A. Bocchi

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