Intervista
Ripartire. Tornare a suonare per ritrovare un’idea di normalità, per fare ancora la cosa che riesce meglio, per riabbracciare il pubblico.
I Fast Animals and Slow Kids sono tornati con le chitarre elettriche, il volume alto e tutta l’energia di un concerto e la prima data del tour che prende il nome dall’ultimo album («È già domani») di giovedì al Campus Industry Music di Parma (zona Campus, inizio alle 21) è già sold out, così come le successive serate di Bologna e Padova.
L’emozione è scontata, come racconta Alessandro Guercini, chitarrista della band perugina: «È un’emozione grandissima. Forse è scontato dirlo ma è così, l’idea di suonare dal vivo ci ha accompagnato per tutti gli ultimi tre anni, da quando abbiamo fatto l’ultimo concerto. Per noi fare live è una necessità, avere questo contatto con la gente che si crea solo in questo modo. L’idea di tornare finalmente su un palco, in un club è proprio potente».
Il pubblico ha immediatamente risposto nel migliore dei modi, ma d’altronde voi siete la classica live band, con tutta l’energia che si percepisce già nelle canzoni del disco che sembrano scritte per essere suonate dal vivo. È voluto o viene naturalmente?
«È un mix delle due cose. Quando scriviamo una canzone cerchiamo di rimanere scevri da come verrà ascoltata e percepita, però alcuni dettagli sono pensati per fare in modo che sia ancora meglio dal vivo».
Ad esempio?
«Pensiamo a “Come un un animale”, che prima del ritornello ha quella pausa solo con la voce. L’abbiamo messa immaginandocela dal vivo perché quella parte, soltanto con la gente che canta senza gli strumenti, è una roba che secondo noi è potentissima. Diciamo che da una parte ci viene spontaneo, dall’altra sappiamo che alcune accortezze renderanno migliore quel pezzo al momento del concerto. In studio mi piace sperimentare, aggiungere strumenti che dal vivo non potresti portare, però è anche bello vedere che direzione può prendere un pezzo quando devi pensarlo in modo diverso da come l’avevi concepito».
Parlando di lavoro in studio, come è nato l’ultimo disco?
«Sono canzoni scritte principalmente durante il lockdown, quindi abbiamo avuto parecchio tempo per rifinirle, per scriverle, anche per accantonarne alcune. È nato com’erano nati i primi, con più calma rispetto a come poi si è evoluta la nostra carriera. Non avevamo una data di scadenza, non dovevamo pubblicare un disco per poi andare in tour. Dalla pausa obbligatoria per tutti abbiamo cercato di prendere il meglio, per cui abbiamo riflettuto molto. I pezzi sono scritti e arrangiati con una cura particolare e si sente quando fai partire play».
Quanto può fare per migliorare la situazione?
«Per noi la musica va al di là del semplice divertimento. È un modo per riflettere su noi stessi e questo può essere d’aiuto per chi ci ascolta, per chi ha voglia di buttarsi nel nostro mondo. La musica ha sempre avuto per noi una funzione terapeutica e speriamo che ci ascolta possa ritrovarla nelle nostre canzoni».
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