Annamaria Corazza in missione
Quattrocento si stima siano stati uccisi dall'inizio del conflitto. E dei milioni di piccoli che hanno varcato la frontiera, almeno tremila sono scomparsi. I primi vittime delle bombe non abbastanza intelligenti per distinguere (ammesso ce ne sia la volontà) tra militari e civili e tra adulti e bambini. Gli altri, spesso, di chi proprio i bambini, e le donne sole, ha nel mirino.
Un orrore nell'orrore: per i più fragili non basta sfuggire alla guerra, per essere davvero al sicuro. Rischiano di passare da un incubo all'altro. Ancora più indifesi. E non solo perché Magnolia, l'ong ucraina che dovrebbe accogliere le loro richieste d'aiuto ora è rintanata in una cantina isolata dal mondo, Telefono azzurro senza più telefono.
«L'esodo scatenato dal conflitto rappresenta una ghiotta occasione per i trafficanti di minori: l'emergenza segue a quella della pandemia che ha incentivato la squallida tratta alimentata da chi si “diverte” sul dark web».
Annamaria Corazza è reduce da una missione a Varsavia e al confine polacco attraverso il quale passa la maggior parte dei profughi ucraini. La tabianese di Svezia (è sposata all'ex premier Carl Bildt, con il quale condivise il fronte diplomatico durante la guerra in Bosnia), nei due mandati al Parlamento europeo si impegnò a fondare l'intergruppo per l'infanzia e fu spesso in Ucraina. «Almeno tre o quattro volte all'anno dal 2010, oltre a essere stata osservatrice elettorale a Kharkiv, Odessa e Kiev - ricorda -. Ho fatto amicizia con parlamentari coraggiosissime con le quali anche in queste settimane sono in contatto continuo». Rapporti cementati anche dal sigillo di Mosca: lei è l'unica italiana finita nella lista nera compilata dal Cremlino dopo le sanzioni imposte dall'Unione Europea dopo l'inizio della crisi di Crimea e Donbass, nel 2014.
Bambini e Ucraina: Annamaria Corazza, per quanto non sieda più a Strasburgo, doveva sentirsi chiamata in causa. Così, con l'ong Child Dignity Alliance (di cui è cofondatrice) e con Ernesto Caffo, fondatore del Telefono azzurro, ha partecipato a una missione anti trafficking del Parlamento europeo guidata da Adrien Taquet, segretario di Stato francese per la protezione dell'infanzia e delle famiglie e, per la Commissione europea, Diane Schmitt, coordinatrice anti-tratta dell'Ue. Coinvolta anche l'ex ministra Beatrice Lorenzin. «Due i centri di accoglienza visitati: a Chelm e a Stalowa Wola, prima di incontrare le autorità nella capitale». Enormi le problematiche sul fronte dei profughi. I bambini soli rappresentano un'emergenza nell'emergenza. Un capitolo doloroso già in tempo di pace, se si pensa che i piccoli ospitati dagli orfanotrofi in Ucraina, istituzioni ancora di marca sovietica, erano oltre 45mila già prima del 24 febbraio. Kiev vuole mantenere il controllo su di loro, rendendo molto complicate le adozioni, specie in questo periodo. Mentre Varsavia non accetta l'arrivo di Frontex. «Ossia proprio lo strumento grazie al quale, allestendo hotspot, l'Unione Europea può gestire i flussi migratori. Negli hotspot, dove possono operare anche le ong, chi entra riceve coperte, cibo, assistenza sanitaria, viene sottoposto a tamponi e quarantena, se necessario. E, soprattutto, si viene registrati con criteri biometrici (non contemplati dal passaporto ucraino) che permettono di rientrare nel database comune dell'Ue. Oltre che la frontiera polacca, quello è uno dei confini orientali del nostro sistema Shengen».
Ma Varsavia per ora ha deciso di procedere per conto proprio. «Salvo poi chiedere finanziamenti a Bruxelles - sottolinea l'ex eurodeputata -. Certo, è giusto che si stia al fianco di chi affronta questa emergenza, ma al tempo stesso ci si aspetta la condivisione delle regole. Richiesta avanzata anche dal governo italiano: ma Varsavia ha già risposto no».
Una questione al centro di un forte dibattito interno in Polonia. «Il sindaco di Varsavia, Rafal Trzaskowski, da noi incontrato, che ha lanciato appelli alla cooperazione tra le città, ha più volte sottolineato come non servano più solo pannolini e cibo, ma un sistema organizzato. C'è, ed è rappresentato da Frontex». Di questo ha parlato ieri il Parlamento europeo, «in un dibattito speciale riservato ai bambini. Tema su cui è prevista una risoluzione domani».
La politica stenta a trovare strumenti comuni. Mentre i polacchi stanno dando prova di grande compattezza nell'accoglienza. «Due milioni di persone sono arrivate in poco più di un mese - ricorda Annamaria Corazza -. Un cittadino su cinque a Varsavia ora è rifugiato: e qui viene chiamato ospite».
Chissà quanti ancora ne arriveranno, se si pensa agli sfollati interni. Altri milioni, e milioni sono i bambini. Per molti di loro basta essere protetti dagli orchi e trovare una casa, una scuola, nella speranza di riabbracciare chi è rimasto in patria. Ad alcuni serve di più. «Abbiamo incontrato Olga - spiega l'ex eurodeputata - con i suoi trenta orfani con disabilità gravi». Insieme sono fuggiti da una struttura a Mykolaiv quando le bombe hanno cominciato a cadere troppo vicine, devastando anche l'ospedale. Olga, raccontando, guardava i «suoi» ragazzi costretti in un letto in uno stadio polacco trasformato in centro di prima accoglienza. Non sapeva che cosa rispondere a chi le chiedeva come si potesse aiutarli. Lei a quei piccoli ancora più soli e fragili ha dedicato tutta la vita. Presto, non è più riuscita a trattenere le lacrime. Per mettere in salvo gli orfani, li ha caricati su un pullman e poi su un treno, lasciando la propria famiglia a Mykolaiv. Anche lei da quel giorno è orfana.
Roberto Longoni
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