Reportage
Primo a essere riempito, il vecchio furgone Mercedes sarà anche l’ultimo a partire. Rosso, con l’adesivo del bebè a bordo, sembra il meno adatto per il lugubre carico. È servito tutto il suo cassone per le settecento sacche-salma portate dal Seirs. Caricate quelle, resta il posto solo per i cartoni con le tute monouso, i guanti e le Ffp2 per chi sarà chiamato a raccogliere i miseri resti di uomini, donne e bambini uccisi e lasciati a marcire per strada o in una fossa comune. Chi indosserà quelle mascherine prima si sarà tappato le narici con il cotone intriso di vodka, e nemmeno così sarà protetto dal virus dell’orrore. Fa niente che l’alcol dia alla testa. Anzi, meglio. Meglio anche bere, per cercare la distanza tra sé e lo scempio nel quale ci si immerge. Già maneggiare la plastica spessa e impermeabile dei sacchi a pelo per il sonno eterno procura nodi alla gola: figuriamoci quando li si riempie. Ognuno una vita. «Ne ho già caricati giorni fa» mormora Julianna Kapral. L’altra volta ha pianto, questa riesce a mascherare i pensieri con un sorriso. La prosecuzione di quello vero con il quale ha dato il bentornato ai volontari del Seirs tre settimane dopo la prima spedizione. Gratitudine, condivisione, amicizia: si leggono tante cose sul dolce volto della 19enne che segue ovunque la madre Uliana, meno che quando lei porta gli aiuti al fronte.
I furgoni della speranza
Il furgone rosso è quello della pietà. Sugli altri, e sono i più numerosi, sale la speranza: sono caricati con i bancali di acqua, di cibo per adulti e bambini, di alimenti per animali, farmaci salvavita, pannolini, barelle, altre tute monouso… Dodici tonnellate di materia prima di umanità. Non tutto varcherà il confine. L’emergenza è anche al di qua del Tibisco, nella piccola Zàhony con i suoi centri di accoglienza e la stazione di smistamento, la prima in Ungheria, per i profughi diretti altrove. Rispetto a tre settimane fa, le ondate di rifugiati si sono ridotte. Così, il sindaco Lazlo Helmeczl è tornato a dormire. «Dov'è Ines?» chiede, guardandosi attorno. Gli spiegano che Ines Seletti, che lo scorso viaggio, da assessore, gli aveva portato anche i saluti del Comune di Parma, per un contrattempo ha dovuto rinunciare alla partenza. Anche Helmecs aveva fatto richieste specifiche al Seirs. Ma al presidente Luigi Iannaccone fa sapere di aver ricevuto altri aiuti nel frattempo: ora si limita a impilare in un furgoncino arrugginito cartoni di merendine, fette biscottate e i salumi per i panini per i più piccoli e poche altre cose, oltre a portare in una cella frigo un bancale di pasta fresca. Il resto, lascia che venga caricato per Čop. «Serve più di là» mormora. Dei quattro shelter destinati a formare ambulatori pediatrici ne tiene solo uno.
Le operazioni di scarico procedono spedite. Anche il cielo sembra voler dare una mano: trattiene la pioggia che costringerebbe allo stop. Ma è plumbeo e freddo, giusto specchio di una terra angosciata. Serve uno spirito acrobatico, per spargere allegria: e Vasil Paidak, di Uzgorod, ci riesce, con i suoi «Putin, Putin, là, là, là», i calci nel vuoto e le simulazioni di mitragliate a mani nude. Con i suoi 62 anni ha potuto varcare la frontiera, ma dall’energia che emana sembra un ventenne. Lui e gli altri ucraini aiutano i volontari del Seirs e Alberto Benazzi, il padroncino per il secondo viaggio consecutivo al servizio della solidarietà, a svuotare il tir in un paio d’ore.
Di nuovo in strada
A mezzogiorno, Robocop Benazzi è già pronto a rimettersi in strada per San Polo di Torrile. Ai volontari della Croce gialla, prima di intraprendere il rientro (doverosa rettifica: i chilometri sono 1300 e non 1400 come scritto ieri, e già questo riduce la stanchezza), puntano su Zàhony, per vedere in che modo rendersi utili con progetti a più lungo respiro. Dopo il gulash nella tenda accanto alla stazione, visiteranno un asilo che si prepara ad accogliere decine di bambini ucraini, oltre ai 120 locali. Uno dietro l'altro, intanto, i cinque tra camioncini e furgoni di Kapla Dobra (Una goccia di bontà), varcano la frontiera. Per le loro merci spedite da Parma, quella per Čop sarà solo un'altra tappa.
Verso la linea del fuoco
Per l'ultima, quella a più ostacoli, è questione di ore. Si aspetterà la sera, quando il coprifuoco svuota le strade. Indossato giubbotto antiproiettile ed elmetto, Uliana partirà con un paio di furgoni carichi di generi di prima necessità, con due autisti e un medico. Tutti volontari, mentre il costo del carburante è Kapla Dobro a sostenerlo. Sarà pure «una goccia», sarà una onlus a gestione familiare, ma in questo momento sembra un fiume in piena. «Siamo partiti otto anni fa, allo scoppio della guerra in Donbass, e non ci siamo più fermati» spiega lei. Si compravano aiuti per le vittime della guerra. Ora, invece, oltre a ospitare dieci profughi, tra lei e i suoi parenti, Uliana si spinge quasi sotto le bombe («Ho paura, eccome se ne ho: alcuni dei nostri sono stati mitragliati anche» dice). Un furgone è appena rientrato da Irpin, uno da Vinnitza, un altro da Bucha: e su ognuno di essi c'era parte del carico inviato dal Seirs in marzo.
Stavolta si andrà a Konotop: provincia di Sumy, a nord del Donbass, ma al confine con la Russia. «Lì gli attacchi sono cominciati pochi giorni fa» spiega Uliana. Prima, si punterà su Kiev. «Bisogna chiedere ai militari quali strade percorrere, per evitare quelle minate». Poi, avanti da un posto di blocco all'altro. «Ce ne sono ogni 12 chilometri - prosegue Uliana -. Ci devi arrivare con l'abitacolo illuminato, pronto a riferire la parola d'ordine rivelata dal posto di blocco precedente». A ogni stop, controllo di documenti e spesso ispezione del carico. Ma non è niente, rispetto all'arrivo, quando all'ultimo varco sulla strada si scopre se si può procedere o se è in corso un attacco. «Di lì in poi cellulari spenti. E si tace anche quando si scaricano gli aiuti». Alimenti, medicine e generi di prima necessità infilati in ogni angolo del cassone in mezz'ora al massimo devono essere scaricati. «E in pochi minuti prendiamo a bordo chi non avrebbe altro modo per fuggire». Comincia a piovere. Uliana se ne infischia: che cosa sono quattro gocce d'acqua... Perché rischiare la vita per gli sconosciuti? «Aiutare chi ha bisogno fa stare meglio anche noi» sorride. Non serve la traduzione: quelli del Seirs capiscono al volo.
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