PERSONAGGI
Sorride orgoglioso e un po’ commosso Stefano Alessandri, per quarantatré anni e migliaia di serate in giro per il mondo con l’Orchestra della Scala, cornista diretto dai più grandi del podio come Abbado, Muti, Carlos Kleiber, von Karajan, Pretre, Metha, Schipppers.
Con il professore parmigiano ed Erica Delmartello, milanese, torniamo a parlare di Antonio, il figlio sedicenne, precoce pianista fuoriclasse, non a caso da cinque anni allievo di Davide Cabassi, grande concertista e bravo didatta per giovani talenti. «L’ho visto mettere le mani sulla tastiera» ricorda il maestro, «e al primo accordo ho capito che Antonio è nato per suonare, perché per lui la musica e il pianoforte sono una funzione primaria indispensabile, come il respirare».
Il maestro e l’allievo volano negli alti cieli di Bach, Mozart, Haydn, Debussy, Beethoven. Antonio - vincitore di un’infinità di premi e concertista già affermato - il 5 Maggio, vedi un po’ che data, inizierà una nuova intensa stagione di concerti ed è al settimo cielo: «Mi sento molto fortunato a studiare con un musicista come il maestro Cabassi... Ho imparato tantissimo, non soltanto sul piano musicale. Studio con lui da ormai cinque anni, quindi posso dire di essere ''cresciuto'' con lui», racconta il giovane Alessandri: «C'è un'intesa molto forte e un legame affettivo solido, fertile. Con tanti allievi, amici e colleghi musicisti ha creato un gruppo davvero compatto, una sorta di famiglia. Ci confrontiamo, ci scambiamo le diverse opinioni e ci aiutiamo a vicenda. Quest'estate avrò la fortuna di frequentare un’importante «masterclass» estiva: otto settimane, a Vienna, con otto musicisti illustri provenienti da tutto il mondo, tra i quali proprio il mio maestro. Sono molto contento di iniziare questa nuova avventura».
In un paio di occasioni i due Alessandri hanno suonato insieme, come è avvenuto il 22 dicembre del 2019, nel concerto al Teatro Regio offerto dallo Studio dell’avvocato Fulvio Villa.
Che tipo, questo «Anto» sedicenne che mi scocca un’occhiata educatamente scettica quando per rompere il ghiaccio, come si suol dire, mi scappano una domanda sciocca e un’immagine raggricciante: «Quando per la prima volta hai schiacciato un tasto - ecco l’orrendo verbo onomatopeico di stridori e lamenti - del pianoforte» chiedo ad Antonio, «immagino che avrai provato un’emozione unica, intensa. E’ così?».
Lui: «No». Io, sorpreso: «E come mai?».
Lui, il viso seminascosto al riparo dalla fitta zazzera, mi stronca: «Beh… Sapevo che sarebbe uscito un suono, una nota».
Però! Ma il ragazzo, personificazione della sveltezza furba, è beneducato: e vibrata la botta, non lesinerà rispettosi sorrisi consolatori al vecchio cronista.
Gli chiedo se il suo talento non gli costi sacrifici notevoli come per esempio accadeva a Maurizio Pollini, ragazzo prodigio al quale era impedito di giocare a calcio da portiere, per timore di rimetterci le dita. «Io no! Tifo per l’Inter, gioco spesso al pallone con gli amici e a otto anni ho giocato anche a hockey su ghiaccio, nel campionato veneto, con la squadra di Cortina d’Ampezzo»: dove la famiglia Delmartello ha la casa di vacanza. Ma come e quando si capì che questo ragazzo era stato adocchiato dalla Musa Euterpe, possessiva e ossessiva Dea, rapace e capace di avvincere per sempre il prescelto?
Che qualcosa di insolito fosse in dotazione del bambino fu evidente da subito: «A due anni Anto cantava l’aria della Regina della notte , dal Flauto magico, la mia opera preferita».
L’aria di Astrifiammante che brutalizza Pamina è famosissima anche per la scena che appare nel film «Amadeus»: qui il regista la sovrappone alla suocera terribile che accusa Amadè di essere un volgarissimo egoista: si tratta di effettuare una serie di acuti che arrivano fino al Fa sovracuto, un suegiù vertiginoso di guglie canore che il testo tedesco rende ancora più impervie e pericolose.
«E Anto», ricorda la madre, «cantava anche le parole esatte in tedesco: ''Der Hoelle Rache kocht in meinem Herzen…''».
Altro segnale inequivocabile, la scoperta che il piccolo era dotato del cosiddetto «orecchio assoluto».
«Ho messo i due Alessandri padre e figlio spalle al pianoforte, io toccavo un tasto e Antonio rispondeva all’istante».
E Stefano, il prestigioso cornista della Scala come ci rimaneva?
Lui: «Ma bene! dicevo tra me e me, un po’ contento e ammirato e un po’ spaventato da questo figlio attraversato dalla musica», racconta divertito.
«Poi arrivò il giorno della beffa di Bach». La scena è questa: il medagliato orchestrale era contento perché arrivato a suonare decentemente le «Suite Francesi» di Bach: «Qualcosina però non funzionava. Sospendo e vado in cucina. Un minuto e quasi mi prende un colpo: di là al pianoforte c’è Anto che ha appena sei anni ed esegue perfettamente le Suite. Un trauma, sono passati dieci anni e non ho più toccato il pianoforte».
E il diretto interessato che dice? Non è contento di noi adulti, soprattutto del cronista recidivo che gli ha incautamente chiesto cosa aveva provato a correggere il padre.
E ce n’è anche per la mamma: «È vero, mi ricordo di quando cantavo da piccolino l'aria della Regina della notte, ma era per puro piacere personale, non aveva nulla a che vedere con mia madre. Mi divertivo così! E poi non ricordo sinceramente di aver mai corretto mio padre, nutro per lui un rispetto profondissimo e non mi permetterei mai di correggerlo».
Cambiamo registro, meglio scovare le emozioni che prova Antonio quando suona - in concerto sempre a memoria, senza leggere lo sparito -, emozioni per sé e per il pubblico.
Qui il panorama è bellissimo. Basta pronunciare per esempio: Mozart concerto K488 che Antonio ti lascia a bocca aperta, basito, a invidiare la purezza dell’animo trascesa nel suono prodotto da questo giovane che ha il potere di elevarci al di là delle miserie umane.
IL k488 suonato da Maria Yudina pianista russa dissidente, commosse fino alle lacrime persino Stalin: «Un'esecuzione che mi ha toccato nel profondo. In questo adagio sono racchiusi tutti i dolori e le sofferenze della vita, e Maria Yudina è riuscita perfettamente a rendere l'idea. Questo adagio è uno dei capolavori mozartiani che preferisco, non mi stanco mai di ascoltarlo. Suonarlo con l'orchestra dei Pomeriggi Musicali è stata un'emozione indescrivibile».
Il sanguinario Josif Vissarionovic Dzugasvili era rimasto colpito dall’Adagio che la pianista aveva eseguito con un tempo lentissimo: «Tanto da fargli assumere i connotati di una marcia funebre, una salita dolorosissima al Golgota», ci spiega Antonio che così ci ricorda come il silenzio in musica valga tanto quanto il suono delle note, un ''suono bianco'' udibile tra una nota e l’altra: «Un silenzio che se non ci fosse non potrebbe esserci nemmeno la musica». Il dittatore sovietico aveva ascoltato il K488 alla radio, una sera del 1943 in piena guerra. Gli era piaciuto al punto di telefonare in Teatro e ordinare che gli portassero il disco l’indomani al Kremlino. Disco non c’era, ma disobbedire a Stalin significava rischiare la ghirba. Sicché direttore, orchestra e pianista rieseguirono il K488. Ma Maria Yudina trasformò il secondo Movimento, di una bellezza divina, in una sorta di atto d’accusa. Potere della musica soprattutto se eseguita da un ragazzo dotato di pura sensibilità e mani magiche. Ci salutiamo. Io, fatto saggio, evito di chiedergli cosa ha provato la prima volta che ha suonato il K488.
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