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Tutte le curiosità di Cibus

Pizze, cibo kosher e tutto il food di domani

Pizze, cibo kosher e tutto il food di domani

di Luca Pelagatti

07 Maggio 2022, 03:01

Cibus è qualcosa di unico. E si vede: basta pensare alla folla di espositori e visitatori, agli affari che ruotano intorno. Ma anche, forse soprattutto, al fatto che è qui, oggi, passeggiando tra gli stand che si capisce che cosa avremo nel piatto domani. Un po' come l'alta moda: la collezione che sfila è quella della stagione che deve arrivare. Allora è qui che bisogna venire per vaticinare il gusto che verrà. E il trionfatore è inatteso:  signore e signori, the winner is la pizza.

Già, perchè vagando tra i padiglioni e i loghi degli oltre 3000 espositori si capisce che è certamente vero che il made in Italy ha molte sfumature, che tra olio, pasta, salumi, formaggi e ogni altro ben di dio abbiamo una ricchezza che forse neppure immaginiamo. Ma che alla fine sarà una Margherita a salvare il mondo. Come dire: il piatto più antico, semplice e popolare è quello che incarna la moda di domani.

Mai come quest'anno, infatti, l'aroma di pizza ha aleggiato ovunque; mai si sono visti così tanti forni fiammeggiare tutti insieme, in nessuna circostanza sui tavoli degli stand, sono comparsi così tanti tranci e assaggi di pomodoro e mozzarella.

«Merito della pandemia – teorizza qualcuno –: chiusi nelle case in tanti hanno provato a farsi la pizza con le proprie mani. Quella esperienza è rimasta e ora cresce la voglia di avere ingredienti giusti». Sarà vero: e anche se si fatica a pensare che il Covid possa aver lasciato una qualunque eredità positiva resta il fatto che l'osservatorio di Cibus lo conferma: non c'è nulla più di moda del piatto simbolo di Napoli. E se un tempo sushi e fajitas sgomitavano sotto i riflettori ora tutto è cambiato. La mano di Dio è quella del pizzaiolo. E una Quattro stagioni è come Maradona. Per gli altri non c'è spazio.

Almeno se si parla di made in Italy da vendere al mondo: perchè Cibus è coccola per la gola. Ma è anche una grande occasione di business. Lo capisci quando intercetti la legione di buyer stranieri che sciamano tra i padiglioni attirati dai sapori di casa nostra. A patto però che rispettino le culture altrui.

Così colpisce, e sia detto con assoluto rispetto, sfogliare le mini brochure che indicano i produttori che certificano il rispetto delle regole religiose per la lavorazione: ci sono alimenti garantiti kosher per il mondo ebraico, altri sicuramente halal da esportare nei paesi islamici e poi la schiera di quelli vegani. Anche se quelli più in crescita sono quelli sostenibili. Detto così pare nulla: ma i prodotti in mostra, ormai, si suddividono tra quelli che scelgono contenitori amici dell'ambiente, quelli che si dichiarano attenti agli aspetti sociali e pure quelli che già in etichetta parlano di risparmio energetico. Una volta si cercavano cose buone. Ora si vogliono alimenti che facciano bene. A noi e all'ambiente.

Una evoluzione che in questo paradiso del food è tangibile: che l'uomo sia quello che mangia è ormai chiaro a tutti. E quindi se un tempo di puntava all'immagine del contadino, alla malìa del fatto in casa come dalla nonna oggi conta la leggerezza, la salubrità. La ricerca. S'intende per togliere, non per arricchire, tanto che gli slogan sugli stand alzano senza limite l'asticella della sfida: «Meno grassi», «Meno zucccheri e sale», «Senza additivi». Qualcuno più cinico sorride: «a forza di togliere cosa ci resterà da mangiare?».

Difficile rispondere: anche se qualche proposta vecchia scuola resiste, come nel caso del salumificio Veroni che si gioca la mortadella da record: è lunga cinque metri e mezzo e pesa 1100 chili. Sarebbe bello scoprire quanti cubetti da sbocconcellare all'aperitivo possano saltar fuori. E molti si fermano a farsi un selfie con questo concentrato di pura Emilia. Qualcun altro, invece, guarda lontano. Il formaggio Monte veronese, ad esempio, ha inaugurato un sorprendente gemellaggio con i vini che nascono in Grecia, sull'isola di Mykonos: «Sono prodotti che nascono tutti dalla lava di vulcani spenti», spiegano. Un tempo eruttavano: adesso coccolano il palato. Che alla fine è poi qui, al potere consolatorio e affettivo di quello che si mangia che si torna dopo essersi scervellati parlando di sostenibilità, di rispetto delle culture, di mode e di ambiente. Ecco perché dopo giornate piene di contrattazioni, di incontri, di ordini in tanti non hanno resistito. E all'orario ufficiale di chiusura degli stand si sono dati appuntamento alla grande area che si trova tra i padiglioni battezzata Cibus After. Ci sono tavoli da ping pong e barman, divanetti e musica dal vivo, birra e vino e soprattutto c'è uno spazio dove espositori, buyer e professionisti hanno potuto sciogliere la cravatta, rilassarsi, lasciare andare le parole.

Di colpo la fiera è diventata cosi un lounge cafè, un ritrovo alla moda. A riprova che Cibus è qualcosa di speciale. Si sente, si vede. Per fortuna si mangia anche e si beve.

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