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C'era una volta

Via Padre Onorio e le storie dei frati francescani

Via Padre Onorio e le storie dei frati francescani

di Lorenzo Sartorio

30 Maggio 2022, 03:01

Una chiesa, San Pietro d’Alcantara (di via Padre Onorio), che non è mai stata parrocchia ma che però ha esercitato tali funzioni di aggregazione comunitaria per la gente del quartiere proprio in virtù della sua straordinaria vocazione di apertura verso i fedeli dovuta all’ospitalità e all’umanità delle varie comunità di frati francescani che si sono succeduti nel settecentesco convento.

Basti pensare che, negli anni sessanta, gli spazi conventuali prevedevano uno spazio all’aperto per assistere agli spettacoli televisivi mentre, in inverno, era a disposizione della gente una grande stanza riscaldata. Inoltre i frati coltivavano un orto di medie dimensioni con annesso pollaio e porcilaia e gestivano una piccola mensa per i poveri.

Da non dimenticare che i frati di via Padre Onorio officiarono anche la chiesa di Sant’Antonio da Padova ubicata in via Emilia Est nei pressi di Barriera Repubblica (dove attualmente sorge il «Barilla Center») poi soppressa nel 1950. Sotto il profilo liturgico i momenti forti erano rappresentati da due solenni processioni (quella della Divina Pastora, la prima domenica di maggio, e quella di Sant’Antonio da Padova, il 13 giugno) che, muovendosi dal convento, e, percorrendo lo Stradone, si irradiavano nei numerosi borghi del quartiere. Anche il convento di San Pietro d'Alcantara, alla fine degli anni cinquanta - inizio anni sessanta, esprimeva una nutrita comunità di frati che scrissero bellissime pagine della storia di questo convento e di questa chiesa sempre frequentata da tantissimi fedeli.

Padre Benvenuto Busignani, che fu superiore del Convento di San Petro D’Alcantara e poi dell’Annunziata, realizzò un interessante saggio sui frati minori alcantarini nella nostra città confidenzialmente chiamati «cavciolèn» per via del piccolo legaccio in legno che consentiva di abbottonare il mantello, per dirla con un verso di Renzo Pezzani, color «tabàch toscàn». I frati minori del convento di San Pietro d'Alcantara, detti «Riformati», furono in ordine di tempo, ma non di importanza, l'ultima comunità francescana insediata a Parma. «Nel luglio del 1687- com'è ripotato nel saggio di padre Busignani - questi religiosi ottennero di abitare un ospizio, con annesso oratorio, nelle vicinanze di San Barnaba (attuale zona Via Affò) in luogo Ortazzo presso le mura della città, verso il torrente. L'anno seguente trovarono sede migliore nel convento abbandonato delle Riconosciute in borgo del Gesso, poi, presso la chiesa di San Michele di Porta Nuova, chiesa a cui cambiarono il titolo in quello di Beata Vergine della Vita. Ma, per la ristrettezza dell'abitazione, per la mancanza di orto e per il disturbo causato dalle truppe ducali che andavano e venivano dalla Cittadella alla Piazza d'armi, deliberarono di fondare un convento in luogo più adatto. Il 7 giugno 1706 i frati comprarono quella vasta area a cui ponente scorgevasi il Monastero di San Cristoforo, a levante la chiesa degli Eremitani e a mezzogiorno la Cittadella. I lavori furono iniziati nel 1707 e terminati nel 1726. La primitiva chiesa annessa al convento, iniziata nel 1706, rivelatasi piccola e maldisposta, non fu terminata. La chiesa attuale fu invece iniziata il 2 settembre 1728 e terminata il 10 novembre 1735».

Per nobilitare il muro di cinta del convento, i frati, nel 1792, decisero di far costruire, all'angolo tra vicolo San Cristoforo (via Anna Maria Adorni) e borgo della Riparazione (via Padre Onorio) una cappellina con l'immagine della «Divina Pastora».

Affidarono la realizzazione dell'immagine ad uno dei più insigni scultori dell'epoca, Giuseppe Sbravati, professore dell' Accademia Reale delle Belle Arti. La deliziosa terracotta, nel 1800, a causa della grande devozione che suscitava, venne trasferita nella chiesa e sostituita da una copia.

Tale provvedimento fu adottato anche perché, accedere nella stagione invernale alla capellina situata, a quei tempi in aperta campagna, era quasi impossibile causa l’impraticabilità della strada. Interessantissimo, a questo proposito, uno studio su questa opera condotto dall’indimenticato Pier Paolo Mendogni, già condirettore della Gazzetta di Parma ed insigne critico d’arte, che ipotizza una sorta di giallo sull’autenticità dell’immagine della Divina Pastora in quanto le opere scolpite sono diverse: una, posta nella suddetta cappella, una nella chiesa di San Pietro D’Alcantara, un'altra nella chiesa di Sant'Uldarico in via Farini. Un’altra ancora nel convento dell’Annunziata «precisamente - come riporta un opuscolo datato 1925, realizzato dai frati di San Pietro D’Alcantara con prefazione dell’Arcivescovo di Parma Monsingnor Guido Maria Conforti - a metà della scala a chiocciola che mette dal Convento alla Sagristia». Ma qual è l’ opera autentica quella, cioè, scolpita dallo Sbravati? Il culto della Divina Pastora è nato Spagna, a Siviglia, nel 1703 allorché il cappuccino padre Isidoro ebbe la visione della Madonna seduta all'ombra di un albero frondoso, indossante un pellicciotto bianco con sopra un mantello azzurro e col cappello da pastore, mentre il bastone le stava appoggiato a un braccio; nella mano sinistra stringeva delle rose e con la destra accarezzava una pecora, mentre altre pascolavano vicino a lei. In lontananza si stagliava minacciosa la figura di un lupo, ma era bastato pronunciare Ave Maria per far comparire l'arcangelo Michele che dal cielo con una freccia abbatteva la bestia insidiatrice. Sulla base di questo racconto sono sorte la varie immagini della Divina Pastora il cui culto è arrivato in Italia verso la metà del Settecento e, a Parma, a fine secolo, ricevendo subito una fervida accoglienza tanto che i frati del convento di San Pietro D’Alcantara ottennero il permesso (20 luglio 1799) di trasportare la scultura dentro la chiesa. Ciò avvenne il 22 giugno 1800 dopo che era stata preparata un'apposita cappella (la prima a religiosi vennero soppressi, la chiesa di San Pietro d'Alcantara fu chiusa ed il convento adibito a caserma.

La scultura della Divina Pastora, che aveva dato origine e nome ad una Pia Unione, fu trasferita, il 14 novembre 1810, nella chiesa parrocchiale di Sant'Uldarico poiché il parroco don Antonio Pulli (titolare dal 1791 al 1828) era in quel tempo priore della stessa Pia Unione della Divina Pastora.

Caduto Napoleone, ripristinato il ducato affidato a Maria Luigia d'Austria, i frati di San Pietro D’Alcantara poterono riaprire la chiesa chiedendo a don Pulli la restituzione della venerata immagine, ma il parroco si oppose. Gli «alcantarini» dovettero ricorrere al Vescovo ed il Vicario generale della diocesi, canonico Vitale Loschi, emanò un decreto che disponeva perentoriamente: «Comandiamo che la predetta immagine della Divina Pastora venga tolta dall'anzidetta Chiesa Parrocchiale e restituita a quella Chiesa».

Il che avvenne a metà ottobre. Un ritorno grandioso in un San Pietro d'Alcantara ricolmo di fiori e illuminato da centinaia di ceri. Per tre giorni la chiesa fu meta di numerosissimi fedeli che assistevano alle sacre cerimonie che si svolgevano dall'alba al tramonto. E, mentre i frati ed i fedeli pregavano davanti alla Madonna con le pecorelle, don Pulli, si guardava in privato la sua Divina Pastora in quanto ne aveva fatto eseguire una copia. Ma, ai francescani, aveva dato l'originale o la copia? L'iconografia è abbastanza simile.

La Madonna col Bimbo in braccio e col cappello da pastora siede sotto un albero frondoso; nella mano sinistra stringe un fiore e con la destra accarezza una pecora, tenuta con una cordicella da Gesù.

Intorno a lei vi sono altre pecore, mentre sulla destra quella più distante è insidiata da un lupo contro il quale San Michele scaglia la sua freccia. L'unico particolare rilevante difforme consiste nella posizione del bastone da pastore che, nella scultura in San Pietro d'Alcantara, è impugnato dal Divino Bambino mentre, in quella in S. Uldarico, è appoggiato al braccio sinistro della Madonna.

Ed allora quella di San Pietro D’Alcantara è una copia, non fedelissima, di quella di Sant’Uldarico? «Che, quest'ultima, sia l'originale - sottolinea Mendogni - lo confermano pure l'alta qualità dell'esecuzione coi dolcissimi volti della Vergine e del Bambino e la felice descrizione della scena complessiva, che invece appare piuttosto modesta nella scultura in San Pietro d'Alcantara la quale, per di più, si è rivelata essere fatta in scagliola dipinta e non in terracotta policroma come l'originale». Uno scherzo…. da prete di Don Pulli ai frati di San Pietro d’Alcantara? E perché no!

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