Polizia
È un bel giorno per ladri, truffatori e rapinatori che da tempo sapevano di correre rischi di troppo a Parma, per l'ingombrante presenza di Ledis Fontana. Non lo è per lui, responsabile della Sezione furti, rapine e reati contro la persona della Squadra mobile, nonostante in un certo senso potrebbe essere soprattutto la sua festa. Al sostituto commissario, che il 9 maggio ha compiuto 60 anni, lo Stato assegna la pensione per raggiunti limiti d’età. Questo prescrive la legge, e lui, da sempre suo paladino, non discute. Si eviti tuttavia di parlargli di meritato riposo: per Fontana il lavoro non chiama che lavoro. Figlio dei campi della collina reggiana, è cresciuto con questa filosofia, concedendosi solo le passioni del mare e della pesca. In pensione, fosse stato per questione di meriti (per i quali ha preso valanghe di encomi ed elogi), sarebbe dovuto andare da tempo, visto che i 40 anni con il tesserino in tasca li ha vissuti con l’acceleratore a tavoletta.
Anche quando a dare gas non era lui. Come quella domenica sera del febbraio 2008. A guidare la Bmw civetta della questura in agguato al casello di Pontetaro era il viceispettore Alessandro Marchesi. Fontana, al suo fianco, lo spronava a tallonare la Golf in fuga con a bordo la banda degli incappucciati, rapinatori specializzati nei raid agli esercizi commerciali o ai self service dei distributori. «Ledis non si è mai tirato indietro» sorride Marchesi, al suo fianco negli ultimi 18 anni. Se è per questo, nemmeno lui, che prende il posto di Fontana all'Antirapine («Non avrei potuto chiedere maestro migliore» sottolinea). Il superiore lo incitava a correre e lui eseguiva alla lettera. Dal Globo di Pontetaro al distributore Q8 di Parola la strada volò via in un niente, ai 220-230 all’ora: con il futuro sostituto commissario al telefono con la centrale, sempre lucido, il tono calmo di chi osserva la scena da lontano. Fino allo speronamento dei fuggitivi alle porte di Fidenza. La folle corsa si concluse con uno strappo a un braccio di Fontana, una contusione al ginocchio di Marchesi e i due rapinatori capottati nel fosso lungo la via Emilia.
Andò peggio nel 2013, quando per fermare un truffatore d’anziani (categoria tra le più nel mirino di un poliziotto che non ha mai esploso un colpo) l’allora ispettore si piazzò in mezzo a via Gramsci. L’altro lo puntò con l’auto e lui riuscì a evitare il peggio saltando sul cofano, per atterrare a lato. «Sembrava di gomma» avrebbero poi detto alcuni testimoni. Anche lui s'illuse d'esserlo e s'infilò in auto con il solito Marchesi, per inseguire il truffatore-investitore che intanto si era dileguato. Presto però le ammaccature cominciarono a farsi sentire, tanto da costringerlo a chiedere di essere portato al pronto soccorso. «Ma quando vedemmo la Punto del fuggitivo al casello, subito mi fece invertire la rotta» prosegue Marchesi. Dolori scomparsi o almeno dimenticati. Questa volta, l’inseguimento fu solo ai 170, in autostrada. «Avevamo una Punto anche noi... Lo acciuffammo verso Modena». Solo dopo avergli messo le manette ai polsi, Fontana accettò di farsi visitare. «Primo lo dovevamo prendere» tagliò corto. Ma per lui è sempre così. Anche se quella volta fu promosso per meriti straordinari. Sul campo.
Non tutti i suoi arresti furono così rocamboleschi. Nel 2009, in stazione, il quinto uomo della banda di rapinatori che aveva tentato il blitz all’Unicredit di piazzale Caduti del lavoro, il sostituto commissario lo catturò salutandolo. «Cercava di nascondersi in tabaccheria - racconta Marchesi - . Ledis lo chiamò. “Perfino il nome” scosse la testa quel tizio, consegnandosi».
Anche questo fa parte di quello che molti chiamano il «metodo Ledis»: ora è la prassi nelle questure di mezza Italia, ma lui è stato un maestro per tanti. «Quando ancora non esistevano i mezzi di oggi, lui aveva compreso che la condivisione delle informazioni, delle foto, dei dettagli era fondamentale - raccontano in borgo della Posta -. È stato proprio così, lavorando con i colleghi di altre regioni, collegando indizi vaghi e immagini spesso sfuocate, che è riuscito a scoprire i responsabili di tanti colpi. Con i quali talvolta ha saputo instaurare rapporti umani difficili da immaginare tra “guardie e ladri”».
«Perché Fontana è un poliziotto speciale: e non è un modo di dire - spiega uno dei dirigenti con i quali ha collaborato. E che preferisce glissare sul nome («Parlate di lui, non di me»). Ha sempre saputo fondere la scaltrezza dello sbirro che conosce la strada, le sue regole e il rigore, la capacità di approfondire. E questo lo ha reso spesso imbattibile».
Ma mai protagonista ad ogni costo. Lo sostengono i funzionari che di lui hanno sempre apprezzato la compostezza, il riserbo di chi potrebbe avere la ribalta e la lusinga dei riflettori. Ma che preferisce stare un passo indietro. «Solo in un caso non transigeva: quando si trattava degli encomi, dei premi per il lavoro svolto - ricordano i colleghi dell'Antirapine -. Ci teneva che fossimo tutti presenti, che il gruppo si presentasse compatto, composto in divisa. Perché quel riconoscimento non era per il singolo ma per la squadra. Per la polizia».
La stessa istituzione che oggi gli rende omaggio. «Grazie Ledis, ti siamo tutti grati - scandisce Alfredo Fabbrocini che con Fontana ha lavorato a Parma prima di diventare dirigente dello Sco e, ora, capo della Mobile di Napoli -. Posso dire che si tratta di uno dei più grandi poliziotti che io abbia conosciuto. La sua serena determinazione è sempre stata garanzia di successo. E non a caso ho cercato il suo supporto in ogni luogo».
Non solo ha chiamato per nome i suoi «clienti», Fontana. Ha saputo penetrare la loro corazza. «Intuito, preparazione professionale e grande umanità: questi i meriti riconosciuti da chiunque lo abbia conosciuto, anche tra i magistrati - dice Antonio Di Marco, ora in pensione, del quale fu il vice dal 1997 al 2006 all'Antirapine, prima di dirigere la polizia giudiziaria della Procura -. Per Ledis il lavoro è sempre stato un’occasione per fare del bene. Per quanto chiuso, con un carattere ancora più montanaro del mio, che sono abruzzese, ha saputo instaurare un ottimo rapporto non solo con le vittime, ma anche con i presunti responsabili dei reati». Be’, non proprio con tutti. «Entrambi fummo minacciati di morte da un omicida - sorride Giuseppe Festa, a sua volta andato in pensione di recente, dopo avere a lungo coordinato l'Antidroga della Mobile -. Per un po’ in questura ci salutammo con un complice “stai attento”. Complicità e reciproco rispetto sono i sentimenti che ci legano. Ho sempre visto in Ledis prima un amico e poi un collega. Sapevo di poter contare su di lui e lui su di me: di questo ha beneficiato il nostro lavoro. Tanti sono stati gli arresti fatti insieme, nonostante le nostre sezioni siano diverse. Grande intelligenza ed empatia sono le sue armi vincenti». Per Giuseppe Cosi, commissario in pensione, «Ledis è un poliziotto da cima a fondo: bravissimo, competente, elogiato dai magistrati, ha sempre fatto fare grandi passi avanti agli uffici in cui ha lavorato».
Per questo proprio a lui si chiese di diventare quasi parte della famiglia Onofri, durante le indagini per il rapimento del piccolo Tommy. «Tutti allora avevano in mente il caso Cogne, e io ero forse la prima indagata - racconta Paola Pellinghelli -. Ma anche durante i primi interrogatori ricordo la sua umanità infinita». E poi la vicinanza nell'epilogo della tragedia. «Al suo “È stato un fallimento”, alla conclusione dell’inchiesta, ribattei che no, non avrei mai ringraziato abbastanza lui e gli altri, per avermi almeno riportato il mio bambino. Rispose con uno sguardo profondo e silenzioso. Non riesco a pronunciare il nome Ledis senza aggiungere l’aggettivo grande».
Le sue qualità emersero subito, all’arrivo in Questura, dopo che, entrato in polizia da ausiliario, aveva trascorso un paio d’anni a Reggio Emilia e poi alla Polfer di Milano e di Parma. «Erano i primi anni ‘90 - racconta Giovanni Rainone, ora pensionato, a quei tempi numero due della Squadra volante -. Le altre pattuglie di notte mi chiamavano per qualsiasi cosa. Lui, invece, lo fece solo un paio di volte: imparava in fretta. Lo hanno lasciato lavorare ed è diventato un maestro. Anche nel fare squadra con le altre questure, per avere il maggior numero di informazioni in breve tempo». Riemergono ricordi leggendari, per chi ha indossato la divisa con passione. «Fontana e Modoni: una pattuglia con la marcia in più... quanti risultati alle Volanti - prosegue l’ex sostituto commissario -. Un loro arresto a Parma, grazie alla collaborazione con i colleghi, permise di catturare 120 spacciatori a Milano».
E l’alt intimato a un’auto di passaggio una sera in via Emilia Est fece scoprire nel bagagliaio tremila pasticche di extasy. «Un record per quei tempi», ricorda Luigi Modoni, oggi ispettore all’aeroporto, il collega che in un paio d’anni di volante con Fontana (ma sarebbero stati insieme anche alla Mobile), tra arresti e denunce, indagò 436 persone (molte delle quali poi condannate). «Eravamo partiti insieme dalla Polfer. In lui ho sempre visto un punto di riferimento - racconta Modoni - anche perché i miei genitori li ho persi presto. Ledis ha saputo starmi vicino nel lavoro, mostrandomi entusiasmo per ciò che faceva, e anche nella vita, dandomi ascolto, consigli e amicizia. Serio, onesto. Si lavorava 30 ore di seguito, e solo se hai passione ci riesci. Nel cuore della notte, quando i ladri e i rapinatori si sentono più liberi di agire, ci appostavamo al casello. Osservavamo le auto in ingresso in autostrada, per fermare solo le sospette. Tanti arresti sono venuti così». E dopo entrava in scena il fattore umano. «Non è facile instaurare un rapporto di fiducia con un delinquente, ma Ledis c’è riuscito tante volte. Alcuni sono anche venuti a trovarlo in questura, una volta scontata la pena, altri continuano a fermarlo per strada. Altri ancora ci hanno invitato a casa, per offrirci il caffè, allungandoci anche qualche dritta». Inutile chiedere nomi e storie: nessuno li rivelerà mai. Segreti professionali e umani. Per qualcuno sono la stessa cosa.
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