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Tatuaggi: e dopo?

Tatuaggi: e dopo?

di Monica Rossi

01 Giugno 2022, 03:01

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Michelle Hunziker ha sfoggiato il suo ormai celeberrimo tribale, che ancora oggi le avvolge il braccio destro e anzi lo sfoggia senza problemi. Segno forse che quel tattoo minimal nella sua semplicità è per lei ancora attuale e voluto.

Tra tribali, appunto, e poi farfalline, cuori, fiori, simboli e scritte (e non poche maxi-composizioni a coprire porzioni importanti come il decollétè, le braccia o il fondoschiena), il tatuaggio continua a piacere e il business dei tattoo-parlour infatti non tramonta. Anzi, cresce, il fenomeno è sempre più in primo piano, e ora accanto al tatuaggio decorativo prolifera anche quello estetico del trucco «permanente» che prevede di farsi «tatuare» ad esempio eye-liner, contorno labbra e sopracciglia (in tutti i casi, il make-up ha tuttavia una durata limitata, di circa 1-2 anni: dopodiché, lentamente sbiadisce e anzi è facilmente correggibile). Quel che invece rischia di passare in secondo piano è la sicurezza, sia da un punto di vista della professionalità e affidabilità di chi esegue i tatuaggi o i trucchi citati, sia da quello dei pigmenti usati.

Non a caso, sul chi vive si è messo anche il Ministero della Salute, che già un paio di anni fa con undici note pubblicate sul sito governativo (www.salute.gov.it) aveva ordinato il ritiro dal commercio di pigmenti considerati cancerogeni o allergenici: tra le sostanze indagate, in particolare, le ammine aromatiche e gli idrocarburi policiclici aromatici. Anche l’Istituto superiore di sanità ha messo e continua a mettere in guardia chi vorrebbe farsi fare un tatuaggio: secondo dati recenti, l’Iss ha ad esempio rilevato che oltre il 13% degli italiani si è rivolto a centri non autorizzati, esponendosi così a un rilevante rischio di infezione o comunque di lavori non alla regola. I tatuatori autorizzati, invece, che hanno cioè seguito specifici corsi di formazione e hanno dunque un’abilitazione sanitaria, non solo sono in grado di eseguire i tattoo in piena sicurezza igienico-sanitaria, ma sanno anche chi non deve farseli fare. Chi sono? «Oltre ovviamente ai minorenni e anzi invito i genitori a prestare la massima attenzione, non devono farseli fare gli immunodepressi, perché hanno una maggiore probabilità di contrarre infezioni – spiega Edoardo Caleffi, direttore della struttura complessa di Chirurgia plastica e Centro ustioni dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Parma -, così come le persone che hanno il sistema urinario deficitario, o che devono sottoporsi le dialisi o ancora che hanno un’insufficienza renale cronica. E poi: non devono farsi tatuare i soggetti che hanno un’insufficienza epatica o il cui fegato ha difficoltà a metabolizzare le sostanze. Oppure, più banalmente, sono del tutto sconsigliati a chi ha il sangue che non coagula, perché sanguinando di più il pigmento tiene meno; quindi, queste persone dovrebbero fare più passaggi per ottenere il tatuaggio desiderato. Il che implica anche più dolore, più fastidio, più rischi».

Altro aspetto di non poco conto è… il dopo. Ovvero: se un tatuaggio non piace più, che fare? Si può eliminare? Passi il nome della mamma o della nonna, ma se ci è fatti tatuare quello del fidanzato ormai ex? «Così come fiorisce il mondo dei tatuatori, altrettanto succede con i laseristi che devono rimuovere i tatuaggi divenuti indesiderati e che devono, come stabilisce lo stesso Ministero della Salute, essere medici – precisa Caleffi -. Attenzione, poi: de-tatuare richiede molte più sedute ed è anche decisamente più costoso del tatuaggio in sé. I risultati? Dipende dalla zona e dalle dimensioni del tattoo e non sempre è garantito e rispondente al desiderio di cancellare. Certo, rispetto a 25-30 anni, le tecnologie oggi sono sempre più performanti grazie ai laser con rapidità dell’impulso in pico-secondi. In pratica, il laser “sbriciola” l’inchiostro: più è veloce e maggiore è poi la capacità dell’organismo di eliminarlo attraverso le cellule deputate alla pulizia, i macrofagi, che inglobano i frammenti di pigmento e li espellono attraverso il fegato o le urine. Tuttavia, nonostante si siano fatti passi da gigante, non sempre viene rimosso come si vorrebbe: possono infatti rimanere ombre, cioè quello che si chiama “ghost”, vale a dire il fantasma del tatuaggio; cicatrici più o meno lievi; o macchie più chiare perché in questa zona la pelle subisce di fatto una depigmentazione che poi si comporta come una zona colpita ad esempio da vitiligine: esposta al sole, non si abbronza».

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