VIOLENZA SESSUALE
Non sente più il suono della sua voce da tempo. Tra Elisa (la chiameremo così) e il mondo c'è il suo tablet: lo schermo su cui scrive parole, racconta emozioni e paure. Una devastante malattia degenerativa ha spazzato via gran parte della sua vita di giovane donna. Bloccata a letto, nel 2019, nella sua stanza al centro riabilitativo Cardinal Ferrari, ha potuto urlare la sua angoscia scrivendo un messaggio all'infermiere di turno: «Il tipo mi continuava a baciare e mi toccava anche il seno». Il tipo era un volto conosciuto, dal sorriso gentile, il padre di una paziente ricoverata nella stanza vicina. Accusato di violenza sessuale, l'uomo - 65enne, origini calabresi ma da tempo residente nel Parmense - è stato condannato a 1 anno e 8 mesi. Il collegio, presieduto da Paola Artusi, gli ha concesso la sospensione della pena.
Chiusa nel suo silenzio, ma anche quasi sempre inchiodata a un letto, Elisa, perché ha anche enormi problemi di deambulazione, nonostante i suoi 32 anni. Aveva visto piuttosto spesso quell'uomo sporgersi nella sua stanza, perché lui faceva visita alla figlia nella camera accanto. Così, quel pomeriggio del 30 gennaio 2019 non aveva avuto alcun timore quando lui si era avvicinato al suo letto. Ma poi la sua bocca si era posata più volte sulle sue labbra e le mani si erano infilate nelle parti intime. Molestata nel suo letto, senza poter gridare il suo rifiuto, il suo ribrezzo.
Non aveva potuto fare altro che subire, Elisa. Immobilizzata dalla paura oltre che dai suoi limiti, perché aveva temuto che lui potesse anche andare oltre. Era invece sgusciato via subito dopo, rifugiandosi forse nella camera della figlia. Elisa si era attaccata al campanello del letto per chiamare l'infermiere di turno. E appena arrivato al suo capezzale, gli aveva mostrato quel messaggio inequivocabile scritto sul tablet. Subito dopo aveva inviato anche un sms alla madre dicendole di raggiungerla immediatamente e di parlare con l'infermiere. La mamma si era precipitata nella struttura: aveva dovuto ascoltare il racconto imbarazzato dell'operatore. Che le aveva anche riferito di aver sorpreso poco prima l'uomo sulla porta della stanza di sua figlia.
Provava disgusto per quell'uomo. Avrebbe voluto urlargli in faccia tutta la sua rabbia, ma doveva cercare di tranquillizzare Elisa, darle l'impressione che nulla di grave era accaduto. Gli si era però avvicinata e gli aveva detto con determinazione: «Cosa è andato a fare nella stanza di mia figlia? Non si deve più avvicinare perché adesso lei è agitata». E lui? Lui se l'era cavata dicendo: «Va bene».
Non poteva certo finire con quella risposta laconica. Il giorno dopo la madre si era seduta davanti ai carabinieri per fare denuncia. Ma un'ora prima lo stesso passo era stato fatto dal direttore sanitario della struttura. C'era bisogno di fare presto. Per proteggere Elisa. Per mettere al sicuro anche i suoi ricordi che la malattia sfalda velocemente.
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