Tutta Parma
Per dissetarsi la gente, nelle afose estati anni Cinquanta-Sessanta, aveva a disposizione due antidoti: il cocomero, per noi parmigiani «angùrrja» o «ingùrrja» (i posti dove la si vendeva e la si gustava erano le «angurjãri») ed il «bif», ossia il caro, vecchio e popolarissimo ghiacciolo. Le «anguriaie» erano disseminate un po' dappertutto sia in città che lungo le strade della bassa dove questo antico frutto del sole, da sempre, ha il suo naturale habitat. Parlando di angurie, però, non si può fare a meno di tuffarci nei ricordi quando quelle belle fette di cocomero rosso-corrida troneggiavano sul ghiaccio delle vitree bacheche della «anguriaie» oppure quelle palle verdi galleggiavano come boe in mastelli di zinco («sój» ) colmi d’acqua.
Quelle angurie che gli ortolani faticando, date le dimensioni, a pesare nella «stadera», mostravano orgogliosi alle «rezdore» tagliandole a metà come novelli boia evidenziando il «taglio rosso» poiché, proprio così, veniva chiamato dalle nostre parti il cocomero.
Sullo Stradone, all’angolo con strada Farini dove da un paio d’anni, nella stagione estiva, funziona un elegante bar stile parigino, sorgeva un baracchino per la rivendita del le cocomere che venivano tenute al fresco nel «sój» posto sotto la fontanella dall’ altra parte della strada.
Altre due «anguriaie» esponevano sullo Stradone il loro «taglio rosso». Una di queste (gestita da un certo Tonino) era posizionata davanti all’Avviamento Professionale (Palazzo Giordani ora sede dell’Amministrazione provinciale). L’«anguriaia» di Tonino era frequentata per lo più da camionisti e dagli agenti della «Stradale» che, dopo una giornata in sella alla loro «Guzzi» sotto il solleone, prima di rientrare nel comando in viale Campanini, si concedevano un meritatissimo relax rinfrescante.
L’altra cocomeraia, con il tetto sempre in frasche, al termine del viale, quasi dinnanzi al Petitot, era la preferita dai «moróz» che facevano ritorno dal vicino dancing della «Raquette». In tutti i modi, pur rispettando le moderne e più ridotte dimensioni di alcuni tipi di cocomero, l’anguria nostrana deve essere bella, prosperosa, come le forme di una «rezdora» padana. Deve avere una bella scorza verde, l’anima bianca e il cuore rosso come i colori della nostra Italia.
Storia a parte per quanto concerne ghiaccioli che, negli anni Cinquanta, costavano 25 lire o giù di lì. Erano i gelidi «rosari» dell’estate che la gente, specie i giovani, sgranavano nelle afose giornate estive. Nella nostra città i pionieri del gelato ghiacciato, a metà anni Cinquanta, furono un artigiano con laboratorio in via Dalmazia e poi, negli anni sessanta, la mitica «Colombino» di via Langhirano.
I ghiaccioli, una volta chiamati «bif» , erano richiestissimi in tutti i bar, latterie e chioschi in quanto le gelaterie non erano diffuse come ora. Gli «over anta» ricorderanno con un po’ di nostalgia il fedele compagno delle loro magiche estati, immancabile nei chioschi della Cittadella, del Giardino Pubblico oppure nelle «cassette-ghiacciaia» di quel simpatico gelataio che, unitamente a cedrate e chinotti, scavalcando tribuna, gradinata e popolari, vendeva «bif» e gelati nelle caldissime serate estive al «Tardini» quando impazzavano le «Coppe dei bar».
Gusti ? Pochissimi e autarchici : menta, limone, amarena, tamarindo, arancio e, molto ma molto meno richiesto, l’anice di un colore azzurrino anemico che nulla poteva al confronto del «verde acceso» della menta o del «rosso corrida» dell’amarena. In certe gelaterie cittadine ( pochissime in verità ) lo si confezionava artigianalmente e qualcuno si era spinto a creare anche il ghiacciolo al cioccolato. Un’autentica goloseria! Anche i lattai furono i provvidenziali dispensatori di «bif». Addirittura, le latterie più attrezzate iniziavano a tenere i contenitori con gli ambitissimi gelati Tanara («fiordilatte» e «ricoperto al cioccolato»).
Sempre dai lattai, si potevano acquistare le bibite allora più gettonate: aranciata, chinotto, spume ai vari colori e cedrate. Ed allora, specie in estate, quando le bibite erano maggiormente richieste, i ragazzini di allora mendicavano al lattaio manciate di sinalcoli che, opportunamente «infarciti» con la figurina del corridore del cuore e cerchietto di vetro tenuto fermo dallo stucco, servivano per effettuare lunghissime gare su piste disegnate con il gesso e la fantasia che si snodavano lungo i marciapiedi, sui muretti e nei cortili.
Poi, negli anni, il ghiacciolo subì trasformazioni ed elaborazioni. Divenne un gelato un po' più ricercato, quasi snob. Abbandonate le spartane caratteristiche anni Sessanta, le grandi aziende gelatiere ne confezionarono esemplari, sempre con il rivestimento di ghiaccio, ma con l’interno di crema e, persino lo stecchino di legno, fu sostituito con quello di liquirizia.
Perciò il caro - vecchio - ghiacciolo fu messo un po’ in ombra e visse anni di completo e solitario oblio. Da qualche anno, però, è ritornato di moda nuovamente confermandosi il «re di ghiaccio» delle estati di ieri. Tornano le mode ed, allora, anche il mitico «bif» è ritornato a rinfrescare il palato anche dei parmigiani rappresentando un revival per coloro che... «qualche anno fa», mentre lo assaporavano, sognavano ascoltando le canzoni senza età di Gianni Morandi e Rita Pavone.
Lorenzo Sartorio
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