Luciano Ravasini
Per una volta partiamo dalla fine. «Cosa posso dire? E' andata bene, tutto si è risolto solo con un gran brutto spavento. E alla fine ci siamo salutati con un abbraccio».
Facile intuirlo: è un abbraccio che nessuno dimenticherà.
Non lo scorderà Luciano Ravasini, chef di lungo corso e cuoco del Parma Calcio, che si era ritagliato un piccolo ritiro tutto suo con la famiglia a Lerici prima di rimettersi ai fornelli per quelli che devono fare goal. Ma soprattutto non potrà dimenticarlo Alessio, una trentina d'anni e un lavoro in una azienda alimentare della nostra città, che qualche giorno fa, nel blu del Tigullio, sognava solo di addomesticare l'afa. Non fosse stato per Ravasini adesso invece di spavento scriveremmo di una tragedia.
«Ero in acqua, giocavo con mia figlia, la spiaggia era piena di gente – racconta Ravasini rivivendo quei momenti. A raccontarlo oggi sembra un film. Invece sono stati fotogrammi di incubo.
«Ad un certo punto mi è sembrato di sentire chiedere aiuto e ho buttato lo sguardo intorno. Ma l'ho detto, c'erano gruppi di ragazzi che schiamazzavano, gente, rumore. Poteva essere qualunque cosa e così ho ripreso a sguazzare. Ma poco dopo l'ho risentito».
E non solo. «Mi sono messo a guardare con attenzione e ad un paio di centinaia di metri più in la ho visto qualcuno che si dibatteva». E quel continuo, scomposto affondare era evidente che non poteva essere un gioco.
«Intorno avevo tanta gente, c'erano anche due bagnini in servizio sulla battigia ma era chiaro che nessuno aveva capito cosa stesse accadendo. Così mi sono lanciato».
Lo ripetiamo: a rimettere in fila le parole serve tempo, le immagini devono essere collegate. Ma in quei momenti non c'è tempo per nulla, nemmeno per pensare.
«Quando l'ho raggiunto stava andando a fondo e così ho provato ad afferrarlo, a tirarlo verso l'alto. Ma quel giovane era ovviamente terrorizzato, si dibatteva, rischiava di trascinare anche me sotto acqua. Comunque sono riuscito ad afferrarlo, senza riflettere ho messo in pratica quello che si vede nei film. E dopo averlo preso con forza l'ho trascinato poco più in la».
In quel punto l'acqua poteva essere profonda quattro o cinque metri: Ravasini con freddezza è riuscito a nuotare verso riva sempre tenendo stretto Alessio che capito di essere in salvo si era un po' placato. Per quanto possa essere calmo chi ha appena rischiato di morire.
«Quando ho iniziato a toccare e mi sono potuto rimettere in piedi ho iniziato a parlargli, provare a rassicurarlo. Lui cercava di rispondermi ma tossiva, ad ogni sbuffo usciva dalla sua bocca acqua. E allora l'ho portato sino a terra».
Il più era fatto, la grande paura era finita. Ma è proprio in quei momenti che iniziano a tremare i polsi.
«L'ho fatto stendere di fianco su un lettino, mi sono accertato che stesse meglio, l'ho costretto a parlare e ho scoperto che anche lui era di Parma. A quel punto serviva solo un po di tempo per permettergli di riprendersi. E per una mezz'ora gli ho fatto compagnia».
Nel frattempo tutti hanno compreso cosa era accaduto e anche i bagnini si sono avvicinati. Le parole precise Ravasini non le ricorda: ma sa di essersi fatto capire.
«Sono stato molto duro con loro, lo ammetto. Ma la vigilanza è un lavoro serio. Se io non mi fossi accorto cosa sarebbe potuto accadere?».
Una domanda a cui per fortuna non dobbiamo rispondere. Il giovane, dopo un po' si è rialzato ed è potuto andare via mentre Ravasini è tornato dalla sua famiglia, come se quello fosse solo un normale pomeriggio come tanti al mare.
«Prima di andarsene mi ha abbracciato. “Mi hai salvato la vita”, ha mormorato e io gli ho risposto che lo avrebbe fatto chiunque. ”Non è vero, non è così”, ha ripetuto lui. Io per parte mia penso di avere solamente fatto quello che si deve. E che è bello sapere che alla fine tutto è andato bene».
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