Tribunale dei minori
Bianca, Anna e la piccola Emma. Tre nomi di fantasia, ma la loro è la storia - vera - di due mamme e una bambina. Di due donne che hanno compilato atti, firmato ricorsi su ricorsi e infine hanno imboccato la strada che le ha portate a ciò che desideravano fin da quando Emma è nata, quasi 4 anni fa: far sì che la piccola portasse il cognome non solo di Bianca, la madre biologica, ma anche della compagna Anna. Non un vezzo, naturalmente, ma il riconoscimento del loro ruolo di genitori, con tutto ciò che legalmente comporta. Sembravano esserci riuscite già nel 2018, solo un mese dopo la nascita di Emma, quando il sindaco Pizzarotti aveva iscritto all'Anagrafe la bimba riportando entrambi i cognomi delle donne. Il ricorso della procura, però, aveva dato il via a un procedimento che due anni dopo aveva portato alla cancellazione da parte del Tribunale del cognome di Anna, lasciando solo quello della madre biologica. Ma ora Emma ha ritrovato il doppio cognome, è diventata anche per la legge figlia di entrambe, perché il Tribunale per i minorenni di Bologna ha dato il via libera all'adozione da parte di Anna. E anche le altre due coppie che quattro anni fa avevano ottenuto l'iscrizione all'Anagrafe con il doppio cognome, poi cancellato, hanno ottenuto il via libera all'adozione.
«Siamo soddisfatte, nonostante questo percorso ci sia costato tempo, energie e soldi. Speriamo che ora per altri sia più semplice - dice Anna -. E' fondamentale però avere chi ti indica la strada e ti supporta, e noi abbiamo potuto fare affidamento sui nostri avvocati, Valentina Migliardi e Massimo Molè».
Undici anni insieme, Bianca e Anna. Nell'agosto del 2018, prima che nascesse Emma, dopo la scelta della procreazione eterologa da donatore, si sono unite civilmente. Ma il desiderio di un figlio o di una figlia è sempre stato parte integrante del loro progetto di coppia. E di vita. «E' stato un percorso durato oltre tre anni e mezzo, ma la bambina è ignara di tutto, fortunatamente - spiega Anna -. Devo anche dire che non c'è mai stato alcun atteggiamento ostile. Una volta, all'asilo, un bambino ha detto una frase del tipo “lei ha due mamme”, ma la maestra è stata molto brava, è intervenuta, e il tutto si è risolto senza particolari problemi».
E' stato un cammino fatto di gioie, amarezze, fatica, ma senza alcuna incertezza sull'obiettivo da raggiungere. E con la «stepchild adoption» (l'adozione del figlio del partner), contemplata già nella legge del 4 maggio 1983, tutti i no incassati in questi anni sono stati spazzati via. «Abbiamo fatto alcuni incontri con gli assistenti sociali, ma poi in meno di un anno abbiamo avuto la sentenza - spiega Anna -. E il giorno dell'udienza, davanti al tribunale, il clima era molto sereno».
La relazione degli assistenti sociali aveva spianato la strada. Tanto che i magistrati sottolineano come l'adozione da parte di Anna risponda «pienamente al superiore interesse della minore, consentendole di godere della continuità affettiva, educativa ed emotiva di una famiglia solida e stabile, nella quale la stessa ha potuto costruire la propria identità».
Ma i giudici, dopo aver precisato che «il cognome è una parte essenziale e irrinunciabile della personalità», mettono in rilievo anche un altro aspetto: «La relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso, che si riconoscano come parti di un medesimo progetto di vita... costituisce a tutti gli effetti una “famiglia”, luogo in cui è possibile la crescita di un minore, senza che il mero fattore “omoaffettività” possa costituire un ostacolo formale».
Oltre ogni barriera. Anche per la legge.
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