DIARIO INEDITO
L'armistizio di Cassibile rappresentò uno spartiacque per tutti, ma per il parmigiano Ermanno Garani fu la chiave di volta di una vicenda singolare: con l'8 settembre si trovò a servire sotto tre eserciti, su fronti contrapposti, nel giro di due anni. Militare di leva in Friuli, poi prigioniero dei tedeschi costretto a combattere al fronte, la fuga e l'arruolamento con gli americani. Con il congedo Usa in tasca tornerà dalla famiglia sfollata da Parma a San Sisto (Poviglio), dai marchesi Pallavicino. Il racconto emerge dal diario del giovane che gli americani chiamavano Hermann. Non è diventato un libro, ma potrebbe esserlo. Ad oggi è un documento inedito riemerso dai ricordi di famiglia. Il figlio, Giovanni Garani, presidente del circolo fotografico Obbiettivo Natura, con tanto di prove documentali e foto ripercorre la vicenda. Uno dei tanti mattoni che costruiscono la «grande» Storia.
Un giovane di talento
Ermanno Garani nasce nel 1923. La sua è una storica famiglia parmigiana. Fin da ragazzo esprime forte curiosità e talento. A scuola annota minuziosamente gli avvenimenti giornalieri nei primi anni della guerra e i dettagli tecnici sugli aerei dei vari Paesi (con tanto di foto ritagliate dai giornali); disegna un grandissimo planisfero e riceve dal ministero il libro-premio «L'armiere pre-aeronautico». E in pieno conflitto diventa disegnatore tecnico alle Officine Reggiane, lavorando sui caccia italiani Re.2000 e Re.2001.
Il diario è stato scritto nel 1944 (andando a ritroso dal '43) e nel 1945, con linguaggio forbito e citazioni letterarie. Garani è poetico a sua volta: dedica il diario a Saffo, la ragazza milanese con cui era fidanzato prima di partire. Nell'ultimo incontro, scrive, «ebbi il presentimento che il fato ci avrebbe separati per sempre. Mi sembrava la fine drammatica di un film». In effetti la separazione diventerà definitiva. Ma nel '44 il giovane Ermanno non lo immagina: scrive un toccante prologo per Saffo e rilegge le sue lettere nei momenti di sconforto sotto le bombe.
Dopo l'8 settembre il soldato Garani è a Sacile (Pordenone) per completare il reclutamento come aviere di leva. «Un brutto giorno, svegliandomi, constatai con amarezza che la caserma era piena di tedeschi. Ebbi un brutto presentimento e questo per mia disgrazia si avverò. Esauriti i depositi di Francia, Polonia e Russia, i nuovi schiavi dovevano necessariamente essere prelevati in Italia». I vagoni bestiame lo conducono a Trieste e il piroscafo Volosca affronta il mare in burrasca fino a Pola. «Da qui iniziò la mia via crucis. Trattato peggio di un cane, insufficientemente nutrito, dovevo tutto il giorno maneggiare il piccone e la pala per scavare buche e fossati. […] Dopo un mese e mezzo circa gli avvenimenti precipitarono. Da Pola […] partii per punizione per il fronte di Nettuno». Una decina di soldati «tutti elementi recalcitranti al militarismo germanico». Devono salire sul treno con le mitragliatrici puntate: i tedeschi non esitano a sparare a chi si ribella e obbligano i prigionieri ad assistere all'impiccagione di due partigiani iugoslavi dopo un attacco al convoglio. Garani tuttavia riesce a dedicare parole poetiche anche al mare e ai tramonti dell'Istria.
Dai nazisti agli Alleati
I soldati arrivano a Bologna, «per la massima parte ridotta in macerie». Poi per mesi dovranno stare in una grotta vicino a Roma, sotto «un uragano di cannonate». Fra le prime vittime del gruppo c'è l'amico parmigiano «Pulga»: «La sua scomparsa mi scosse profondamente. Quella sera eravamo tutti tristi. Il nostro pensiero era rivolto alle mamme dei nostri disgraziati compagni che non avrebbero mai più riveduto i loro ragazzi». Fra gli episodi narrati: i soldati italiani costretti a sforzi terribili per posizionare un cannone nel maggio '44. «Era molto più facile morire che mangiare» poiché «il rancio non arrivava mai».
Gli Alleati avanzano, l'Asse arretra da Frascati a Viterbo e ormai la strategia è chiara: per i tedeschi, gli italiani devono sacrificarsi come carne da macello. Un giorno mentre i compagni si ubriacano con una damigiana, Garani e «il compagno Domenichini» si lanciano in una fuga fortunosa tra fossi, granai e boschi. Trovano lavoro a Viterbo: spostano macerie e fanno i mandriani, per meno di un mese. La fortuna gira a Grosseto: incontrano una compagnia di tecnici americani (991° Comp. Tank) della Quinta Armata; Garani diventa meccanico, Domenichini motorista, sono pagati e rifocillati.
Da luglio 1944, con gli americani «Hermann» è un autista di autoblindo. In una «afosa nottata di agosto» le truppe giungono a Firenze. Qui uno degli episodi più coinvolgenti. I partigiani hanno chiesto l’aiuto dell'autoblindo contro alcuni cecchini a Novoli. Gli americani forniscono armi nuove. Garani funge da interprete e spiega il piano: l’autoblindo avrebbe garantito fuoco di copertura ai partigiani che, attraversando il fiume, avrebbero circondato la casa con i fascisti e le mitragliatrici. Dalle pagine sembrano riemergere i rumori della battaglia, i timori e le sensazioni di quel momento. Infine la sorpresa: il più tenace dei fascisti era... una donna vestita da uomo, ultima a farsi catturare.
«Non so più sorridere»
L'ultima «finestra» sulla Storia è datata maggio 1945. Garani sa che Parma è già stata liberata dai partigiani e attende impaziente l'ordine di trasferimento... Il 2 finalmente si parte per Modena! Vorrebbe bruciare i chilometri. Saluta Firenze «culla dell’arte italica»; Prato e Pistoia sono ridotte a un cumulo di macerie. Lungo la Porrettana, una strada bianca di polvere battuta, si nota un paesaggio di desolazione. All’alba arrivano a Bologna: gli operai di passaggio salutano sorridenti. E a Modena, l'agognato permesso: una deviazione per portare a casa Garani. Via a tutta velocità, dopo 17 mesi: «In un attimo Reggio è sorpassata e così pure Sant'Ilario. Ancora pochi chilometri ed ecco apparire all'orizzonte le torri di Parma...». All’arco di San Lazzaro, il presentimento: «I miei genitori non sono qui ma a S. Sisto perché forse la casa è distrutta o sinistrata». Così devia per Sorbolo. Il ponte sull'Enza è crollato ma non importa: con la bici prestata da un contadino copre quei 4 chilometri. Una ragazza del posto e il padre gli chiedono se sia «piovuto dal cielo». Ermanno finalmente riabbraccia i genitori: «Sorrido, ma il mio sorriso è amaro perché non so più piangere!». La guerra è anche questo. «Sono convinto che il ricordo tenga in vita le persone - commenta Giovanni Garani -. Il racconto tiene viva la memoria e può insegnare qualcosa. Leggendo queste pagine penso alla vita dura di chi ha vissuto quel periodo. Dovrebbe far riflettere».
Andrea Violi
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata