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Premiata a Parma

Caterina Caselli: «Io, una testarda di successo»

Caterina Caselli: «Io, una testarda di successo»

di Anna Pinazzi

24 Settembre 2022, 03:01

Caterina Caselli è frizzante, tenace. A metà degli anni ‘60, mentre Mina cantava composta «Se telefonando» e la Vanoni «Tristezza, per favore vai via» (due capolavori, ben inteso), lei si muoveva - con quel suo ballare unico a scatti e il caschetto dorato - interpretando le parole di «Nessuno mi può giudicare», ancora oggi inno contro il pregiudizio. Tutta questa forza di donna-ariete, che fa di tutto per esaudire i suoi sogni, l’ha portata anche giovedì sera sul palco della Casa della musica. L’artista ha incontrato il pubblico parmigiano in occasione della decima edizione di Parma international music festival, in dialogo con Laura Bonelli, per ripercorrere tutta la sua vita.

Il racconto viene anticipato da una simpatica confessione, che rivela tutta la sua autenticità e semplicità: «Per venire qua stasera mi sono messa dei tacchi altissimi, non sono abituata - ride -, ma sono qua sana e salva, questo è l’importante». La risata sua e del pubblico serve per rompere il ghiaccio ed entrare in contatto con la sua vita, tra successi, cambiamenti e tanta, tantissima musica. «Un giorno uscendo da scuola ho visto un’insegna: «Scuola di musica del maestro Caligari». Tornata a casa ho detto a mia mamma che mi sarebbe piaciuto frequentare quella scuola, lei secca mi ha risposto: “Neanche per idea” – inizia a raccontare Caselli -. Ma io, che sono sempre stata testarda, ho talmente esasperato la mia famiglia, che un giorno mia zia mi ha preso sottobraccio e mi ha accompagnata in quella scuola: da lì non ho più smesso di fare musica».

Poco dopo, all’Orchestra Caligari servivano un bassista e un cantante: «Così non ci ho pensato due volte - ammette - per avere quel posto, mi sono messa a studiare solfeggio, canto e ho imparato a suonare il basso». La sua ascesa parte da lì e dal salone «Vergottini», da dove è uscita con quel caschetto dorato che ha fatto la storia. Quando lo racconta, ci ride su, dicendo: «Mi è andata davvero bene, pensate agli altri soprannomi che circolavano al tempo: aquila di Ligonchio, pantera di Goro, tigre di Cremona - sorride -, a me è toccato “Casco d’oro”, sono stata fortunata».

A quella ragazzina che adorava Ray Charles, i Rolling Stones e Ella Fitzgerald, il successo arriva velocissimo, la travolge: «Ho fatto anni di viaggi e concerti, al mattino ero a Cosenza, alla sera a Milano - rivela -. Sono arrivata ad un certo punto esausta, seppur felicissima per tutto l’affetto e le grandi emozioni che questo mestiere mi stava regalando». Poi Caterina Caselli si ferma, per amore di suo marito e dei figli. Il richiamo della musica è, però, fortissimo, quindi decide di fondare una casa discografica (ne seguiranno tante altre), fra le tante pubblicazioni c’è anche il nome di Pierangelo Bertoli. Insomma, la sua è proprio «Una vita, cento vite» come recita il titolo del suo documentario proiettato giovedì sera per il pubblico della Casa della musica.

Dopo aver ricevuto il premio alla carriera consegnato dalla coordinatrice Eddy Lovaglio e dal direttore artistico del festival Riccardo Moretti, Caselli dà un ultimo saluto al pubblico parmigiano: «Adesso sì - ride - che mi potete giudicare, ma siate buoni».

Anna Pinazzi

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