Condannato
Che gli preparasse o meno il pasto, che tacesse o parlasse, che fosse al telefono a chiacchierare con la famiglia in patria: ogni occasione sembra fosse buona per lui per aggredire la compagna. Alzando la voce o anche, e parecchie volte secondo l'accusa, le mani. Il perché di tanta rabbia nei confronti della donna che un tempo diceva di amare, forse lui per primo dovrà cercare di capirlo, magari con l'aiuto degli psichiatri ai quali è stato affidato. Dalla loro frequentazione (oltre che il futuro suo e di colei che eventualmente starà al suo fianco) dipende il suo destino attuale. Il 40enne moldavo processato con rito abbreviato dal Gup per maltrattamenti in famiglia è stato condannato a 2 anni e otto mesi, con la pena scontata di un terzo come previsto dal rito: li sconterà non in una cella, ma usufruendo della libertà vigilata, a patto che continui a seguire il percorso terapeutico già intrapreso al Centro di salute mentale. E, ovviamente, che lasci in pace colei alla quale ha reso la vita un inferno.
La compagna, sua connazionale di una decina d'anni più giovane ha più volte dovuto ricorrere anche alle cure dei medici del Pronto soccorso. Non si è mai presentata con lesioni gravi, ma sempre con ematomi ed ecchimosi guaribili al massimo in dieci dieci giorni. Ma ciò nulla toglie alla gravità delle violenze subite. Come la volta in cui lei, mentre era a letto a riposarsi, si vide trascinata a terra per i capelli, per poi essere presa a calci e pugni, la testa sbattuta contro la parete. «Ecco, ora vai a farmi da mangiare» lui le disse alla fine.
In un'altra occasione, lui, sentendola al telefono con la Moldavia, la prese di nuovo a botte, dicendole che non avrebbe più dovuto parlare con la madre e con i figli. «Non te li faccio più vedere» minacciò. Mentre al culmine di un'altra lite (per chissà quale motivo), secondo l'accusa le cinse il collo con la cintura, per allentare fortunatamente la presa a un certo punto. Diverse, poi, sarebbero state le volte nelle quali la donna, rincasando, si vide chiusa fuori dall'appartamento. Pare che le sia toccato anche di dormire sul pianerottolo, per avere almeno un tetto sulla testa. Invece, in un'altra occasione, per cercare di entrare dopo che lui le aveva sottratto le chiavi, si procurò una forte contusione a un polso. Episodi che si susseguirono a cadenza quasi regolare, concentrati tra il maggio e l'ottobre di un paio di anni fa. Non sempre la giovane si rivolse al Pronto soccorso, ma le volte che lo fece, in quei sei mesi, complessivamente accumulò prognosi per una 40ina di giorni. Senza contare le «lesioni» più profonde, quelle delle quali non si vedono i segni.
Roberto Longoni
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