Dall'Archivio dello Csac
Quasi esattamente 50 anni fa, attraverso il cuore dell’Europa. Siamo nel novembre del 1972, il fotografo Tino Petrelli realizza una sessantina di immagini, 54 negativi in bianco e nero da 6x6 cm, le altre sono riproduzioni da foto aeree e di cantiere. Sono ora nell’Archivio Publifoto Milano conservato allo Csac dell’Università di Parma.
Petrelli per Publifoto non è un autore qualsiasi. E’ una delle colonne della fase “eroica” dell’agenzia, e fin da giovanissimo suo autore di riferimento assieme al fondatore Vincenzo Carrese. Sono di Petrelli le foto della miseria accuratamente occultata dal Ventennio nelle immagini calabresi ad Africo (1948), quella delle partigiane in via Brera a Milano (1945) quella di Fausto Coppi con la scritta sulla neve dello Stelvio (1953), quella con Agnelli Valletta Pirelli e Bianchi seduti sulla pedana con la Bianchina nel 1957. E’ autore indicato come capofila ai prodromi di una ipotetica fotografia neorealista italiana e creatore di icone capaci di richiamare immediatamente il sapore di epoche della nostra storia o, forse più propriamente, uno di quelli che quel sapore hanno saputo creare e cucinare.
Nel 1972 le cose sono certo cambiate, cambiano velocemente per chi fa fotografie. Ce ne accorgiamo anche a scorrere i registri dei differenti settori della Publifoto conservati allo Csac assieme all’archivio delle immagini. Le committenze commerciali crescono fino a prevalere decisamente sulla cronaca, nascono rami dell’agenzia espressamente dedicati a industria e commercio, fino al deperire e finire - commercialmente, non culturalmente - del modello stesso dell’archivio fotogiornalistico come sistema - fisico - delle immagini.
Nel 1972 Tino Petrelli lo troviamo a fotografare stand nelle fiere campionarie, a documentare inaugurazioni, a fare insomma quel lavoro “alimentere” da lui ritenuto -sbagliando, credo - non del tutto suo, in qualche modo estraneo alla sua opera.
Vediamo queste fotografie. Siamo sotto il cielo d’Europa, velato o chiuso fino quasi a darci un tono crepuscolare, i dati riportati a registro, a pennarello: “8/11/72/ Germania” e poi, aggiunto a biro “Zona Baden Baden” “Saipem/Posa tubi metanodotto Olanda Germania Svizzera Italia”. E’ l’inizio della costruzione del Trans Europe Natural Gas Pipeline (Tenp) che proseguirà fino al 2009. Concepito per trasportare il gas dai giacimenti olandesi verso, appunto, Germania, Svizzera, Italia, si articolerà in seguito, attivando flussi nella direzione opposta. Enrico Mattei era stato fondatore di Saipem, agenzia destinataria principale del servizio fotografico, nata come fornitore di servizi e infrastrutture per l’estrazione di carburanti in pianura padana dal 1957. Una storia importante dove ricorrono teorie di sigle industriali (Eni, Agip, Snam…) magari tuttora in uso ma scompaginate da rivolgimenti anche drammatici, tra cui la misteriosa scomparsa dello stesso Mattei. Insomma, una importante storia italiana che nel 1972 si trova ad attraversare mezza Europa. Come narrarla? Petrelli è sempre stato raccontato -e si è raccontato - come fotografo noncurante della bella forma, guidato dalla pulsione a raccontare la verità, la realtà, essere nel posto giusto e - vedere - il senso di quanto accade per raccontarlo in modo intelligente e vivido. Con queste foto, come in tutte le sue, ci mostra però che questo non vuol dire delegare ad un istante imprevedibile raggiunto con grande abilità il senso di una storia. Si tratta di sapere il prima pensando al dopo, applicare esperienze che per Petrelli sono sempre di lavoro umano, anche quando si tratta, per contratto, di mostrare un macchinario. E la storia delle immagini, delle forme del raccontare, fa parte del gioco. Impossibile e assurdo distinguerla dall’istinto, forse fin troppo mitizzato, del bravo fotoreporter autodidatta.
Seguendo l’ordine con cui Petrelli ha numerato gli scatti vediamo il progredire di fasi dell’opera: vediamo i segmenti di tubazione prima sul ciglio di scavo poi posati dagli argani, la preparazione degli imbocchi con una sorta di fiamma ossidrica a corona - percepiamo la sapienza artigianale nella dimensione ciclopica, in bilico tra Jules Verne e “Odissea nello spazio” - e le saldature, fino alla fuga in prospettiva centrale del condotto che si immerge al centro, poco sotto all’orizzonte. La quinta di proscenio è la terra scura in zolle strappate, presto verranno ricollocate nella pianura. Gli scatti quadrati con la Rollei sono mobili, veloci ma pensati e articolati da subito in narrazione: la veduta con i monti innevati e, venendo verso di noi, le baracche del cantiere, un traliccio dell’alta tensione, lo scavo diagonale che attende la posa del condotto, tutto composto in proporzioni che rendono la scena accattivante, quasi una cartolina turistica o una veduta di Hans Thoma aggiornata ai tempi moderni. Poi il condotto è collocato nello scavo, il fotografo vi scende, si abbassa sotto una sorta di impalcato alle spalle dell’operaio, coglie lo spruzzo di luce prometeico della saldatura elettrica. La fuga rettilinea del manufatto, resa come in un reparto industriale, è racchiusa saldamente in questa fabbrica en plein air, puntata verso le montagne che forse verranno trafitte dall’opera.
Tino Petrelli riprende qui modelli che aveva applicato una decina di anni prima, dal 1960, fotografando i lavori di costruzione del Traforo del Monte Bianco - lo Csac ne conserva circa 600 immagini, dalle lastre in vetro 18x24cm ai fotogrammi Leica -, sembra proprio ricollegare temi e retoriche di quella vicenda a questa più recente. Queste vedute verranno poi corredate di didascalie, ma il discorso è già chiarissimo, anche senza sapere se siamo nello Schwarzwald, alle porte alpine della Svizzera, nelle pianure olandesi: l’Europa, il suo paesaggio attraversato dai flussi della modernità che acquista un sapore nuovo ed eroico con il lavoro dell’uomo. Le linee elettriche - ecco perché comporre il traliccio come fosse un abete nella veduta -, quelle stradali, quelle del gasdotto in costruzione ordinate in un sistema razionale che può rendere una sua bellezza unitaria.
Una delle foto riprodotte su lastra, una veduta a volo d’uccello, mostra bene il reticolo ordinato dell’autostrada che corre parallela al gasdotto, le ortogonali dei canali, le linee elettriche, i rettangoli di serre e coltivi, centuriazioni della moderna pianura europea. Il Tenp, quindi probabilmente anche la committenza di queste foto, era ampiamente finanziato dalla Banca Europea Investimenti, il contributo calcolato in “unità di conto”, l’euro è ben di là da venire.
Tra questi scatti, una strana inquadratura, una bella immagine: come una foto di gruppo meccanica. In primo piano l’elegante prua di una Mercedes, poi una Volkswagen targata Ortenau (un tiro di schioppo da Strasburgo), e procedendo verso lo sfondo una campagnola col cane a sei zampe dell’Eni, gli argani sui cingoli, un grande tubo sporge dal cantiere. Tino Petrelli ci mostra la ben gerarchizzata carovana europea con cui viaggiava per raccontare un pezzo di storia, un altro.
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