Solidarietà
E' stata di nuovo «una paziente esemplare» Mansoura. Lei - coi suoi 6 anni da compiere tra due settimane, arrivata dai campi profughi Saharawi nel deserto algerino - ha saputo con sguardi e serenità superare la barriera linguistica che la separava dai medici e dalle infermiere del Maggiore. E ha reso molto più facile il loro compito: aiutarla a fare definitivamente l'ingresso in una vita normale di bambina e poi di ragazza e donna.
E' nata con una labioschisi e una palatoschisi, Mansoura. Labbro leporino, dunque, con l'aggiunta della malformazione del palato: al di là dell'evidente problema estetico, le avrebbero reso sempre complicato mangiare e parlare, predisponendola anche a un maggior rischio di infezioni.
Sono interventi che in questo Primo Mondo - come spiega Enrico Sesenna, direttore del reparto di Maxillo-facciale, dove la bimba ha fatto il suo iter sanitario - «vengono eseguiti il primo intorno ai 6 mesi d'età per naso, labbra e palato molle e il secondo dopo un anno, con la crescita, per arrivare a completare con gengive e palato duro».
Ma nel Terzo, di Mondo, è tutta un'altra storia. E se - come se non bastasse - si parla di una tendopoli in uno degli angoli di deserto più inospitali, la chirurgia diventa un problema davvero molto serio.
E' stata l'associazione parmigiana Help for Children a fare da ponte con l'ospedale Maggiore. Da oltre un decennio si occupa dell'accoglienza estiva di bambine e bambini Saharawi e di progetti nei campi profughi e nel 2018 ha ricevuto la richiesta d'aiuto da parte del Ministero per la salute Saharawi. E' da lì che periodicamente arrivano gli appelli alle realtà amiche per trovare soluzione - o almeno speranza - ai casi più gravi o urgenti che riguardano in particolare l'infanzia.
In quel 2018 arrivarono a Parma in due: un bimbo a cui bastò un unico intervento chirurgico e lei, quella piccola di poco meno di 2 anni per cui era invece inevitabile un ritorno. Sarebbero dovuti passare più o meno dodici mesi e invece, causa pandemia, Mansoura ha atteso tre anni.
«Appena si sono potuti riprendere i viaggi, abbiamo ripreso i contatti e programmato il suo arrivo - racconta Giancarlo Veneri, presidente di "Help" - . L'ha accompagnata di nuovo la sua mamma, che ha potuto starle a fianco in tutti i giorni d'ospedale. Nei periodi di pre e post ricovero sono state alloggiate in un piccolo appartamento messo a disposizione, con la generosità di sempre, dal centro anziani "Il Tulipano". I nostri volontari e volontarie si sono poi alternati a far loro compagnia e a rendere più allegra questa permanenza in città. Senza contare quello che hanno fatto il professor Sesenna e la sua squadra: sono dei fuoriclasse».
Non rischia di perdersi nella routine il nome di Mansoura. «Ne ho operati un discreto numero, di bambini e bambine. Ma difficilmente ho trovato una paziente così coraggiosa e sempre con uno sguardo così sorridente, sia prima che dopo l'intervento chirurgico - ripercorre con immutato stupore Sesenna - Se i bambini non collaborano, riuscire a visitarli e a monitorare l'esito dell'operazione diventa molto complicato. Lei, nonostante la difficoltà di comunicare reciprocamente, è sempre stata calma e serena, rendendoci tutto più semplice».
L'intenzione di Help for Children è di allargare e rendere continuativa la collaborazione con l'ospedale Maggiore: «Stiamo pensando di organizzare una missione di professionisti che vadano a realizzare là, ai campi profughi, i loro interventi sanitari, con il vantaggio di una maggiore intensità e resa rispetto ai singoli arrivi qui - conferma Veneri -. E sarebbe allo stesso tempo un'occasione per fare formazione al personale medico e infermieristico dei campi».
Nel frattempo, la nostra città è stata protagonista di una staffetta molto particolare: proprio nei giorni in cui Mansoura si preparava a tornare alla tendopoli, sempre grazie all'associazione parmigiana arrivava qui dal Marocco Yassine, 4 anni e una situazione di salute molto delicata.
L'eccezionalità potrebbe sfuggire, ma quello tra i Saharawi e il Marocco è uno dei conflitti dimenticati: da quando nel 1975 l'esercito marocchino invase il Sahara Occidentale dopo la partenza dei colonizzatori spagnoli.
Si assaporava la libertà, e invece arrivarono la guerra combattuta dal Fronte Polisario, il destino da profughi in Algeria, dove nacque la Repubblica araba saharawi democratica, o quello di discriminazioni e diritti negati nella patria nuovamente occupata.
«Help for children da sempre è a fianco dei Saharawi nel chiedere di realizzare ciò che l'Onu ha da tempo sancito: il diritto alla autodeterminazione attraverso un referendum - spiega Veneri - . Non solo: siamo uniti a questo popolo da quella parola preziosa e fondamentale che è pace». Che non ha confini, che va praticata concretamente. E che non a caso oggi aggiunge (anche) il nome di Yassine.
r.c.
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