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Sal Varriale

«Parma è il mio sogno americano»

«Parma è il mio sogno americano»

di Gianluca Zurlini

15 Novembre 2022, 03:01

Una folgorazione immediata, o un amore a prima vista: è quello che ha provato Sal Varriale 50 anni fa al suo arrivo a Parma da "oriundo" per giocare a baseball. «Sono arrivato senza conoscere praticamente niente dell'Italia se non quello che mi avevano raccontato mia mamma e i miei parenti, originari del Sud. Ed ero convinto di restare qui solo qualche mese per poi tornarmene a New York. Anche perché il mio sogno, da bambino, era quello di arrivare a giocare negli Yankees e a 24 anni avevo ormai rinunciato all'idea di far carriera nel baseball, tanto che avevo ormai smesso di giocare. Ma quando il presidente Notari mi ha fatto vedere la divisa della allora Bernazzoli non credevo ai miei occhi. Era identica a quella degli Yankees. E allora lì mi sono detto: questo è il mio posto. E da Parma - dice con la sua allegra risata - non mi sono mai più mosso».

E pensare che bisogna dire grazie a suo zio Carlo se Sal Varriale 50 anni fa è arrivato a Parma. giocare a baseball. Perché di venire nel paese di origine della sua famiglia per giocare a baseball non ne aveva nessuna voglia. «Avevo smesso di giocare un anno prima, perché avevo capito che non sarei arrivato nelle Series e avevo cominciato a lavorare nella finanza a Wall Street. Volevo portare a casa dei soldi per mia mamma, che mi aveva cresciuto, assieme ai miei fratelli, da sola, perché mio papà se ne era andato di casa quando ero piccolo». Perché è una storia, quella dell'arrivo di questo "paisà" che di americano ha mantenuto, dopo mezzo secolo, soltanto il suo caratteristico accento nella parlata, che sembra uscita da un romanzo popolare. «Nel 1971 l'Italia aveva giocato, proprio qui a Parma, l'Europeo e lo aveva perso contro un Olanda piena di giocatori antillani. Allora il presidente della Fibs Beneck aveva deciso di portare in nazionale i giocatori italoamericani e aveva messo un avviso di ricerca sul giornale "Il Progresso" che si pubblicava in lingua italiana a New York. L'articolo lo ha visto mio nonno e ha compilato il modulo di richiesta senza dirmelo, perché voleva che tornassi in Italia. A marzo del 1972 hanno iniziato ad arrivarmi un sacco di telefonate dall'Italia per chiedermi se volevo andare e io avevo risposto a tutti di no perché avevo una fidanzata e un lavoro e al baseball non pensavo più». Ma il destino aveva deciso diversamente: «Dopo gli Spring training sono però arrivati a New York Guido Pellacini, Giulio Montanini, Silvano Ambrosioni e Giancarlo Mangini. Per 3 giorni mi hanno chiamato e parlavano con mia mamma, che parlava italiano, e io le dicevo di dire che non c'ero e che non volevo andare». Alla domenica, i quattro "santoni" del baseball dovevano ripartire per l'Italia e Sal non gli aveva risposto. «Qui entra in gioco mio zio, Carlo Salzarulo che mi disse "tu hai mancato di rispetto agli italiani, ma se tu vai in Italia impari cosa vuol dire vivere", ha preso la macchina e mi ha portato al Kennedy per farmi incontrare con loro». Così Sal parla con Pellacini che, al rientro in Italia, lo segnala a Aldo Notari perché gli ha fatto una buona impressione. A giugno, Varriale lascia la fidanzata e anche il lavoro ha degli intoppi: proprio in quel momento arriva la chiamata da Notari e a quel punto dice di sì.

«Ho detto che sarei rimasto solo due settimane. Mi sono allenato da solo per due mesi e sono arrivato il 2 agosto a Parma. Ho visto uno stadio bellissimo, una città ordinata e poi la divisa, uguale agli Yankees: sono rimasto senza parole e le due settimane sono diventate 50 anni. In pratica stavo vivendo un sogno». Nel 1972 Sal fa 10 fuoricampo in 15 partite e da allora non ha mai più lasciato Parma, dove ha trovato anche moglie due anni dopo.

E Sal Varriale è l'unico che, in ruoli diversi, prima da giocatore, poi da coach e manager e quindi da talent scout e dirigente, ha vinto tutti i trofei conquistati dal Parma baseball dagli anni Settanta a oggi. Indimenticabili restano il primo scudetto e la prima Coppa dei Campioni: «Nel 1973 ho preso il passaporto italiano e ho iniziato a giocare anche in Nazionale. Quella Germal era una squadra formidabile, pronta per vincere e che trionferebbe anche oggi: 51 vittorie su 54 partite con giocatori come Castelli, Gioia, Miele, Di Santo, Coffman, Guzman al momento più alto della carriera e un manager giusto per quel gruppo come Montanini».

Il resto è storia, culminata qualche settimana fa nella consegna a Bologna a Sal Varriale da parte del Coni della "Palma d'oro", il massimo riconoscimento per uno sportivo. A Sal è stato anche assegnato il premio "Tullo Massera" dall'Oltretorrente, ma un ultimo sogno nel cassetto il "paisà" che ha percorso al contrario la strada per trovare la fortuna ce l'avrebbe: «Sono anche cavaliere della Repubblica e mi piacerebbe avere anche un riconoscimento da Parma, la città che mi ha conquistato al primo colpo». E chissà che anche questo non si realizzi, ideale coronamento di una vita da incorniciare di un uomo e di uno sportivo che parmigiano lo è diventato fino al midollo.

Gianluca Zurlini

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