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L'intervista

Carlo Recalcati: «A Parma mi sento a casa. Pozzecco? È il numero uno»

Carlo Recalcati: «A Parma mi sento a casa. Pozzecco? È il numero uno»

di Vittorio Rotolo

17 Novembre 2022, 03:01

«O te o nessun altro». Per la tipologia di figura da inserire nello staff tecnico della sua Nazionale, Gianmarco Pozzecco aveva in mente solo Carlo Recalcati. La frase che accompagnò la proposta fu esattamente quella. Quasi perentoria. Il decano degli allenatori - classe 1945 e con una luminosa carriera in panchina partita proprio da Parma (nella CBM, a cavallo tra gli anni '70 e '80) - al suo «allievo» rispose subito sì. «Anche se fino a quel momento non mi era mai capitato di fare l'assistente» racconta alla «Gazzetta di Parma». «La mia presenza in Nazionale è legata a Gianmarco: abbiamo iniziato questo percorso confidando sulla reciproca stima. Mi ha voluto al suo fianco in un ruolo inedito, che spazia a 360° toccando, anche, qualche aspetto tecnico. Ma non in maniera preminente. E comunque senza alcun ingerenza, perché io sono una persona che sa stare al proprio posto».

Dopo un ottimo Europeo, che sapore ha questa raggiunta qualificazione al Mondiale?

«Il sapore della continuità. Partecipare per la seconda volta di fila alla rassegna iridata, dopo trent'anni, vuol dire che nel suo complesso il movimento cestistico italiano si mantiene su un discreto livello».

Che Nazionale ha ritrovato?

«Questa squadra è chiaramente figlia di Meo Sacchetti, cui va riconosciuto l'eccellente lavoro svolto. Pozzecco ha ereditato un gruppo competitivo, nonostante problemi atavici come il fatto che l'Italia non esprima tantissimi giocatori di livello internazionale. La continuità cui accennavo prima, alimentata dai risultati, denota la presenza di un nucleo solido: un buon viatico. L'ideale sarebbe avere la tranquillità di poter persino sbagliare qualche partita, senza il rischio di compromettere la stagione».

Magari in attesa di avere un Banchero in più nel motore...

«Nel nostro staff c'è Riccardo Fois, che lavora col basket americano e segue Banchero da tempo. La prima scelta, si sa, è sempre impegnativa: con la qualificazione al Mondiale, però, le chance di vederlo in azzurro potrebbero aumentare. Avere Banchero in squadra, sarebbe un valore aggiunto».

La qualità migliore di Pozzecco?

«La capacità di ottenere il massimo dai suoi atleti, senza soffermarsi sui loro limiti. Quando è arrivato in Nazionale, ai giocatori ha detto che da lui non avrebbero mai ricevuto un rimprovero per un errore. Loro stentavano a credergli, perché ci sono tecnici che la pensano diversamente. Ma vede, gli errori fanno parte del gioco. Gianmarco lo sa ed è coerente: non punterà mai il dito verso chi sbaglia un tiro o un passaggio».

Il fatto che si senta ancora un giocatore può costituire un problema?

«No, è capitato anche a me. Sentirsi ancora un giocatore è normale, dopo tanti anni passati sul campo. E soprattutto non c'è una regola fissa: non è detto infatti che i migliori allenatori siano quelli che hanno giocato, o viceversa. L'importante è essere se stessi, senza millantare alcunché: Gianmarco, anche in questo, è il numero uno. Non ha paura di mostrare le proprie debolezze e insicurezze».

Sul piano tecnico, come lo si può inquadrare?

«È molto pragmatico a livello difensivo. E avendolo conosciuto da giocatore sembra un paradosso, l'esatto contrario di ciò che mostrava in partita o durante gli allenamenti. Gianmarco, però, è un ragazzo intelligente: capiva che la parte negativa del suo gioco era la difesa e che quel tipo di atteggiamento non poteva essere produttivo, nel momento in cui sarebbe diventato un allenatore».

Si dice sia stato proprio Carlo Recalcati a «spingerlo» in questa direzione...

«Per convincerlo ci ho messo un bel po', credo un paio di anni (sorride, ndr). Quando Gianmarco smise di giocare, entrò nei quadri dirigenziali della Armani Milano. Non dico fosse sprecato in quel ruolo, ma ritenevo che da allenatore avrebbe potuto trasferire ancor meglio, agli altri, il suo ampio bagaglio di conoscenze. La prima panchina, a Capo d'Orlando, gli venne offerta appena tre mesi dopo aver completato il corso: una grande occasione che ha saputo cogliere».

Pozzecco può essere considerato il suo erede?

«Questo non lo so e non spetta a me dirlo: mi auguro che, in termini di risultati, possa avere le mie stesse soddisfazioni. Per il resto, siamo assai diversi. Ed è bene che lui rimanga se stesso fino in fondo: la maniera migliore per farsi apprezzare».

Recalcati, invece, come vive oggi il rapporto con la panchina?

«Rispetto ai miei compagni di viaggio sono più freddo. Ma anche da capo allenatore, per fortuna, non ho mai conosciuto la parola stress».

Quali modelli di riferimento ha avuto nella sua carriera?

«Non ho mai copiato nessuno. La cosa più sbagliata che si possa fare è “scimmiottare” l'allenatore che va di moda: quando ciò accade non è bello, i giocatori lo percepiscono. Da quelli che considero i miei allenatori-guida, ho cercato di trarre gli insegnamenti più utili: Arnaldo Taurisano curava nel dettaglio la preparazione individuale dei giocatori, Boris Stankovic gestiva il gruppo in maniera impeccabile, Gianni Corsolini amava guardare il lato umano dell'atleta».

Parma ha l'onore di aver tenuto a battesimo la sua carriera da allenatore.

«Accadde tutto nel breve volgere di un'estate. Per vicissitudini societarie, pur giocando ancora, alla CBM iniziai a dover pianificare gli allenamenti. E non lo avrei mai fatto, se accanto a me non ci fosse stata una persona dello spessore di Antonio Ievolella. La dirigenza aveva deciso di ripartire da zero, con me e parecchi giovani. L'anno prima avevo accettato di scendere di categoria pur di venire a Parma, dove c'era un progetto ambizioso. Sentivo una certa responsabilità nei confronti della città e di una proprietà che mi aveva fortemente voluto. Le cose, purtroppo, non andarono bene: l'infortunio, l'unico serio della mia carriera, arrivò proprio nel momento topico della stagione».

Le capita ogni tanto di tornare qui?

«Ormai raramente, purtroppo. Ma ho ancora tanti amici e bellissimi ricordi: a Parma mi sento sempre a casa».

Vittorio Rotolo

© Riproduzione riservata

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