L'intervista
Il Mondiale per Club conquistato domenica a Betim (Brasile) ha un sapore davvero speciale per Andrea Anastasi, tecnico della Sir Safety Perugia. È un trofeo che mancava nella ricca bacheca dell'ex ct della Nazionale italiana, uno che i primi passi da giocatore li ha vissuti proprio a Parma, alla Veico (tra il 1977 e il 1980), e che poi, da allenatore, ha centrato due World League, un Europeo e un bronzo olimpico sulla panchina azzurra, un altro titolo continentale con la Spagna, un bronzo sempre agli Europei con la Polonia, dove ha portato a casa anche due coppe nazionali e una Supercoppa con il Trefl Gdansk. Un vincente nato, Anastasi. «Il mio risveglio? È stato dolcissimo» confessa alla «Gazzetta di Parma» il tecnico, all'indomani dell'impresa nella finale mondiale tutta italiana contro Trento. «Mi è piaciuto l'atteggiamento dei miei ragazzi: il carattere e il contributo che ciascuno di loro è riuscito a dare in campo. Volevamo fortemente questa coppa e siamo riusciti ad ottenerla con merito, anche grazie alla capacità di soffrire in una partita che non poteva essere semplice alla luce del valore di un avversario esperto, Trento, che ci ha messo in difficoltà».
Era preoccupato dalla «pressione» di essere considerati i favoriti di questa manifestazione, voi che arrivavate in Brasile con una lunga striscia di risultati utili consecutivi?
«Noi non ci facciamo mai distrarre dai commenti di opinionisti e addetti ai lavori: siamo ben consapevoli di aver allestito una squadra competitiva, che può lottare ad armi pari su tutti i fronti, ma dobbiamo restare concentrati sul nostro percorso».
È un Perugia che però, obiettivamente, dispone di individualità di assoluto spessore: il Mondiale è il secondo trofeo stagionale, dopo la Supercoppa italiana. Dove può arrivare questa squadra?
«Torniamo dal Brasile con un trofeo prestigioso, ma questo risultato non deve farci sentire arrivati. Facciamo un passo alla volta: a fine dicembre c'è la Coppa Italia, un altro obiettivo su cui focalizzare l'attenzione. Ma prima di allora avremo altre partite, tutte da vincere. Ai ragazzi ho detto che non voglio cali di concentrazione».
Anastasi, lei è tornato ad allenare un club italiano a distanza di 17 anni dall'ultima volta: che campionato ha ritrovato?
«Un torneo molto equilibrato: al di là del nostro inizio di stagione (per Perugia 11 vittorie ottenute finora su altrettanti incontri disputati, ndr), dalla seconda all'ottava in classifica sono praticamente tutte lì. E in ogni partita, il pronostico è sempre aperto a qualsiasi risultato».
Il nuovo corso azzurro, con Fefè De Giorgi alla guida, è partito come meglio non si poteva: nel giro di un anno sono arrivati prima l'Europeo, quindi il Mondiale. Che cosa significa?
«Che abbiamo giocatori straordinari, di livello internazionale. E questo ci fa ben sperare per il futuro e in particolare per le prossime Olimpiadi, l'unica competizione che non siamo ancora riusciti a vincere. A Ferdinando e ai ragazzi auguro di farcela: se lo meritano».
Con lei è giusto anche aprire il cassetto dei ricordi: se dico Parma, cosa viene in mente ad Andrea Anastasi?
«La prima esperienza lontano da casa: avevo 17 anni. Parma è stata una tappa cruciale nella mia formazione pallavolistica: posso dire che in questa città, dove peraltro ho terminato gli studi, al Melloni, sono diventato un giocatore. E qui ho conosciuto anche il presidente Carlo Magri, l'uomo che qualche anno dopo mi avrebbe dato l'opportunità di guidare la Nazionale italiana. A lui sono legatissimo, anche se qualche volta devo ammettere che ci siamo scontrati: nessuno di noi due ha un carattere semplice. Ma alla base c'è sempre il rispetto e una stima reciproca. Di Parma ricordo tutti i personaggi che hanno contribuito a fare grande la pallavolo: Roncoroni, Castigliani, Belletti, Bonini. E naturalmente Claudio Piazza, il mio allenatore».
Ma è vero che, per portare Anastasi a Parma, la società garantì una fornitura di palloni al club di Poggio Rusco che deteneva il suo cartellino?
«Assolutamente vero. Del resto, all'epoca, la pallavolo era così. Che tempi, però: certe volte mi sento quasi un dinosauro di questa disciplina...».
Vittorio Rotolo
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