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La festa della comunità ortodossa

L'altro Natale, con la guerra nel cuore

L'altro Natale, con la guerra nel cuore

di Chiara Cacciani

07 Gennaio 2023, 03:01

«Quest’anno gli auguri che ci siamo scambiati non parlano di salute, di felicità, di sogni da realizzare: solo la pace compare, è l’unico desidero del mio popolo», racconta Alyona Navoznova.

Dopo alcuni anni a Parma, era tornata in Ucraina. E’ stata la madre, rimasta a vivere qui, a insistere perché alla fine di gennaio 2021 prendesse al più presto un aereo e insieme al figlio scappasse in Italia. «Ero prevenuta come tanti: fino alla fine nessuno credeva che potesse scoppiare una guerra. Mia mamma invece aveva capito che il richiamo del personale diplomatico di Italia e Germania era un pessimo segno». Ha preso i primi biglietti disponibili: 28 gennaio. Appena prima che i telegiornali mandassero le immagini delle prime bombe, delle prime distruzioni, delle prime morti.

Oggi è una operatrice del Ciac e si occupa dei connazionali accolti – soprattutto donne e bambini – ma non solo. E' da una stanza della onlus che ripensa alle feste nel suo Paese: «Si spendevano quasi tutti i soldi per viverle alla grande, andare al ristorante e a ballare. Ora la luce non c’è, il coprifuoco svuota le strade, e nell’aria le bombe, non i fuochi d’artificio...».

Anche chi sta qui, ammette, non ha voglia di festeggiare. «Ma se hai dei bambini o delle bambine ti sforzi per non far sentire loro questo peso: ogni genitore cerca di coprire la tristezza davanti ai figli». Aumentando anche i regali per fare scorta di sorriso. «Le persone che accogliamo ne hanno portati anche a me: mi hanno commossa».

«C’è anche – continua - tanta voglia di non perdere le nostre tradizioni: per San Nicola abbiamo organizzato una festa su proposta di una delle nostre accolte». La sala grande di via Bandini, seconda sede di Ciac, ha ospitato la recita dei bambini, le poesie, i canti, i balli: «Finalmente un'occasione bella per stare insieme».

«Con mia mamma e mio figlio vicini, sono le amicizie a mancarmi. Da là tengono tantissimo a mantenere i contatti, nonostante le difficoltà delle ore senza luce e senza connessione internet. Io da qui ho un’altra visione, ma dalle loro parole capisco che sperano e credono che ogni giorno sia quello possibile». Per tornare ad aprire le finestre e riempire le strade.

Chiara Cacciani

Natalia «La mia Ucraina vive anche questi giorni in un silenzio di morte»

Oggi in Ucraina è di nuovo Natale, il Natale ortodosso. Arriva dopo quello comunque celebrato del 25 dicembre, dopo la festa di San Nicola poco prima - il 19 -, dopo l'addio al 2022 di pochi giorni fa.

«Là sono un’ora avanti e mia sorella, che abita in una città sotto Kiev, mi ha mandato un messaggio appena da loro è iniziato il Capodanno – racconta Natalia Kobyliatfka, a Parma da 15 anni -: Diceva che non aveva mai visto in vita sua le finestre delle case tutte chiuse: nelle feste erano sempre aperte per scambiarsi gli auguri tra vicini e far partire i fuochi d’artificio. Quella notte invece era tutto silenzioso: ma come un cimitero».

E se uno scoppio c’è, non è nulla di pirotecnico: è la guerra che continua. «Sentono le sirene di avviso dei bombardamenti e rimangono in casa, perché i bunker di fatto non esistono: ci sono le cantine, ma non sono un riparo sicuro», continua. Nemmeno lei per San Nicola e per Natale ha sentito di avere qualcosa da festeggiare, «però grazie ai viaggi umanitari ho mandato i pacchi alimentari per le persone che amo: prosciutto, parmigiano, i dolci italiani che hanno condiviso con gli amici più stretti».

Tra sirene e coprifuoco, appunto.

Nel frattempo lei, Natalia, in questi giorni di luci e brindisi ha dato qualcosa a Parma: la sera del 31 dicembre e poi fino a notte fonda era in piazza con la divisa del Seirs Croce Gialla, lo zainetto del defibrillatore a tracolla. Erano una squadra di tre volontari in servizio al concerto, pronti all'emergenza. «Per fortuna nessuno ha avuto bisogno del nostro intervento. Ma è stata una serata speciale: c'erano moltissime persone a divertirsi, e anche tanti che ci hanno avvinati per farci gli auguri e dirci grazie. Ecco: ho sentito un grande affetto e rispetto verso il nostro impegno». Il cuore che si è scaldato un po’ di più, anche se il pensiero correva sempre là, come oggi.

«Ho pianto tanto da quando è scoppiata la guerra. All’inizio non volevo nemmeno accettarlo, non credevo a mia sorella che al telefono parlava di aerei e bombe, le chiedevo se era diventata matta. Solo quando ho visto i telegiornali ho capito che era vero».

E’ subito andata in piazza Garibaldi per la prima manifestazione improvvisata, ma non si è sentita abbastanza utile. Allora ha chiamato il presidente del Seirs Luigi Iannaccone: «Cosa possiamo fare?». La risposta è stata immediata: salire a bordo nel segno della concretezza. Da allora ha il compito di tenere i contatti per far arrivare a destinazione, e mirati, gli aiuti umanitari raccolti dal Seirs, partecipando poi ai viaggi anche nelle vesti importantissime di interprete. Avrebbe voluto far arrivare qui le persone che ama: «Io che sono cittadina italiana avevo la possibilità di fare la richiesta di ricongiungimento familiare, ma mia sorella non vuole dividere la famiglia. Il marito è riservista, potrebbe essere chiamato in qualsiasi momento a combattere e lei vuole restargli accanto il più possibile». Un uomo che non ha fatto il servizio militare, mai imbracciata un'arma: un «semplice» civile che non si tirerà indietro. «Anche se vorrebbe che in queste settimane lui e gli altri come lui venissero addestrati: senza esperienza rischiano solo di andare subito a morire».

Con la sorella, nel frattempo, si sono date appuntamento telefonico tutti i giorni e sempre alla stessa ora, quando le comunicazioni hanno più probabilità di essere garantite. «Ma quando non riesco a raggiungerla, quando non mi risponde, mi spavento subito - confida -e comincio a cercare sue notizie dai vicini e dai parenti finché non la trovo».

«Cosa mi aspetto dopo questi mesi? Il mio popolo vuole resistere, non ci possiamo permettere di perdere questa guerra ingiusta. Ma serve aiuto: da soli non ce la facciamo. Ma nemmeno a diventare schiavi della Russia ce la facciamo... Ho scoperto che il mio popolo ha tanto coraggio, tanta capacità di resistere alla paura, tanta unità».

Non se lo immaginava, Natalia. O semplicemente non c'era mai stato bisogno di immaginarselo. Di immaginare un conflitto in Europa dopo l'incubo del secolo scorso. «Ma questa guerra non può continuare: le persone hanno il diritto di vivere una vita normale». Al più presto.

c.c.

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