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La ronda dei metronotte tra i vitelloni anni '60

La ronda dei metronotte tra i vitelloni anni '60

di Lorenzo Sartorio

30 Gennaio 2023, 03:01

Quando i giovani vitelloni parmigiani, anni Sessanta, rientravano a casa, dopo avere trascorso parte della notte «in baràca» concedendosi qualche bicchiere in più, non era raro che incontrassero il «pattuglione» della «Mobile» con a bordo tre «questurini» che, oltre essere dotati di notevole e molte volte opportunamente convincente forza fisica, possedevano pure un fiuto da segugi dettato dell’esperienza. Erano le figure tipiche delle notti parmigiane unitamente a fornai, pasticceri, spazzini che iniziavano il loro tour tra le strade cittadine con il loro carretto, ai camion azzurri della «Centrale del Latte», a qualche «battona» in viale Mentana, ai pochi taxisti di allora, agli operai che facevano i turni alla «Fàbrica dal sùccor» in viale Veneto, o in qualche altro stabilimento al tempo della «campagna dìll tomàchi» ed agli strilloni che andavano a ritirare la Gazzetta, ancora calda di tipografia, in via Emilio Casa come il buon Elico Barvitius che poi si recava in Stazione per venderla e chi prendeva il treno ad orari antelucani.

Ma, oltre a tutte queste figure notturne, i «bon vivant» parmigiani, dopo l’ultimo drink al mitico e leggendario «American Bar» di via Emilio Lepido, aperto fino alle 7 del mattino (dove ci si imbatteva in ragazzi affamati dopo la discoteca o in una coppia uscita da teatro, oppure in amanti clandestini fuori provincia) potevano incontrare i «guardiani della notte» in sella alle loro bici che stavano facendo il giro di ispezione nella zona a loro assegnata: oggi i metronotte, ieri, molto più semplicemente, «il gvärdjj noturni». Si è fatto un bel balzo dagli anni cinquanta - sessanta ad ora anche per quanto concerne gli «angeli della notte», attualmente, in elegante uniforme, attrezzatura adeguata, a bordo di auto con tanto di radio, allarmi, lampeggiante ecc.

Un vero e proprio esercito ben organizzato di professionisti che vegliano sulle molte volte burrascose e agitate notti del terzo millennio. Ma un tempo la «guardia notturna» non era certamente così accessoriata come i colleghi di oggi. Vero è che le notti parmigiane di ieri erano molto più quiete. La malavita non era così organizzata e determinata e quindi anche le guardie si adeguavano al clima del tempo. A cavallo della sua bici, solitamente solitario e raramente in pattuglia, il metronotte di ieri fendeva il buio con il baluginante fanale della bicicletta il cui stanco fascio di luce, in estate, molestava frotte di insolenti moscerini mentre in inverno trafiggeva, come una sottile lama, la fitta nebbia che avvolgeva la città.

Vestito di scuro con un’uniforme in verità un po’ triste, il metronotte, armato della sua Beretta di ordinanza riposta nel fodero, con una torcia a magnete, poi divenuta pila, illuminava la notte per tenerla al sicuro dai ladri che un tempo, specie in campagna e nell’immediata periferia, facevano razzia di bici, motorette e galline svaligiando interi pollai. Silenziosa e metodica, la guardia notturna, transitava sempre alla stessa ora, smontava dalla sua bici che trasportava a mano e, pian pianino, si assicurava che cancelli e portoni fossero ben chiusi. A riprova del suo passaggio, incollava un biglietto bianco o rosso - mattone alla porta o alla cancellata che riportava la dizione dell’Istituto al quale apparteneva. A Parma esistevano due istituti di vigilanza: «Foschi» e «Frambati» in via XXII Luglio.

La notte era lunga come erano tanti i controlli da effettuare, magari in quei quartieri nuovi che stavano crescendo come i funghi con il cemento che, ogni giorno, rosicchiava terra ai campi di papaveri e di erba medica. E, in quel buio, il metronotte era completamente solo con la sua anima, la propria ombra e la sua Beretta. Radio e cellulari nemmeno a parlarne, quindi, solo coraggio e tanta pazienza caratterizzavano la notte di uomini forti e robusti che dovevano fare i conti con la luna, i lampioni, le stelle, l’abbaiar di cani, il miagolio di gatti, qualche ubriaco ed i soliti ignoti che, con grimaldello e attrezzi da scasso, cercavano di farla franca. Conoscevano tutto del loro quartiere: vizi e virtù. Dalla moglie compiacente che, nell’attesa che il consorte rientrasse a casa, riceveva l’amico, ai mariti violenti e ubriaconi, ai giovani che «butävon mäl», ai vecchi soli, alle donnine allegre la cui luce soffusa della camera da letto restava accesa tutta la notte, ai turnisti che andavano e venivano dalla fabbrica. Ma la «gvärdja noturna», durante il lungo servizio notturno, si concedeva qualche breve pausa per il caffè (d’inverno rigorosamente «corretto») nel bar che chiudeva a notte inoltrata, oppure dal fornaio che, essendo costretto a lavorare tutta notte, appena albeggiava, poteva offrire il pane caldo e profumato della prima infornata alla guardia come spesse volte avveniva nel forno di Primo Martinelli in via Viotti. Molte sere la «gvärdja», che pattugliava Viale delle Rimembranze, poteva scambiare quattro chiacchiere con il custode della Cittadella Adriano Catelli mentre si accingeva a chiedere il portone del Parco. A quei tempi i parchi cittadini (che poi erano due: Parco Ducale e Cittadella) non erano di competenza dei metronotte in quanto dotati di guardiania comunale inoltre, di notte, venivano chiusi. Per quanto concerne la Cittadella l’ordine e la vita del parco erano costantemente monitorati dal suo «sceriffo» che, più volte al giorno, ed anche di notte, in sella alla bici, ispezionava sia l’anello inferiore che superiore della fortezza farnesiana non mancando di dare un’occhiata anche all’interno dei bastioni.

E se la nostra cara vecchia Cittadella, il parco più amato dai parmigiani, lo possiamo considerare ancora sicuro, un grande merito, sicuramente, va ascritto al suo «ranger» il quale, nonostante abbia da anni raggiunto la pensione, non manca di ispezionare quotidianamente, con occhio vigile, quello che fu il suo terreno di caccia. Già, le nostre care «gvärdjj noturni». Parliamo degli anni Sessanta, un mondo piccolo in cui tutti, o quasi, in una città come la nostra si conoscevano. E, quindi, dove potevano accadere episodi anche boccacceschi che non riuscivano a restare nell’anonimato proprio in considerazione delle ridotte dimensioni della città. Uno di questi episodi accadde a metà anni sessanta in pieno centro ed ebbe come protagonisti un nottambulo «dongiovanni» e un’avvenente signora che stava bene quando il marito era fuori di casa. Una sera la donna, un po' chiacchierata nel borgo, ospitò in casa l’amico mentre il marito era in fabbrica dove faceva il turno notturno e, quindi, sarebbe dovuto rientrare al mattino. Così non avvenne perché il marito, per cause imprecisate, fece ritorno a casa prima del tempo. Non appena avvertito il rumore della chiave nella toppa del portone, il «dongiovanni», balzò giù da letto e, siccome l’appartamento era al primo piano, scavalcò il davanzale della finestra per gettarsi nel marciapiede sottostante. In quel momento, proprio lì sotto, stava passando la guardia notturna che, avvistato l’uomo in bilico, tra davanzale e muro, gli intimò il «chi va là». «A 'n són mìga un lädor -esclamò il dongiovanni - sa' m' dà 'na man a gnir zò a gh' spiégh».

Il metronotte aiutò l’uomo o scendere il quale, una volta coi pedi a terra, spiegò tutto al suo interlocutore il quale, siculo di nascita e di temperamento, ribattè: «cumpà (compare), se al posto di quel disgraziato che è entrato in casa ci fosse stato io, tu, alla pensione, mica ci arrivavi».

L’episodio fece il giro della città planando nella penna del re dei cronisti della Gazzetta, Corrado Corti, che dedicò all’accaduto un sua come sempre brillante «finestra sulla città».

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