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Intervista

Buffon: «Sogno ancora di vincere il pallone d'oro»

di Sandro Piovani

16 Febbraio 2023, 03:01

«Sogno ancora di vincere il pallone d'oro, anche se magari giocherò ancora sei mesi»: il sognatore è Gigi Buffon e parlare con lui di calcio è come andare all'Università dell'italica pedata. E intanto si capisce che a Parma c'è tornato per vincere ma non solo. Sarà una questione di cuore, forse più di una questione di famiglia.

«Volevo che i miei figli conoscessero la storia del padre. Guarda, ecco mio figlio, sette anni, con lo stemma del Parma tatuato su una mano». Come tutti i papà, il telefonino per far vedere l'immagine. Sorride. la sua forza. Ma si fa anche serio quando si comincia a parlare di Parma, di serie B, di una stagione difficile ma ancora aperta. Di quattordici partite da giocare.

«Noi del Parma dobbiamo affrontare queste partite una alla volta, cercando di arrivare alla fine riducendo al minimo la possibilità di avere dei rimpianti. Detto questo poi, in base alle prestazioni che forniremo, ai risultati, alla posizione in classifica, a quel punto ci faremo un'idea più veritiera del nostro reale valore. Siamo una di quelle squadre difficili da inquadrare, difficile attribuirci il nostro reale valore. Anche perché i numeri nel calcio solitamente fotografano bene una situazione. Se devo fare una comparazione rispetto all'anno scorso, qualcosa di positivo c'è: intanto abbiamo 5-6 punti in più. Non abbiamo cambiato allenatore e questo significa che è stata fatta una scelta giusta, ponderata. Pecchia è un allenatore di esperienza che sa allenare al meglio una squadra come la nostra. E spero anche che il meglio debba ancora venire».

I numeri dicono anche che questa squadra non ha continuità. In queste partite servirà una continuità di prestazioni perlomeno.

«Sì, questo deve l'obbiettivo. Però farei delle distinzioni. Sono molto critico ma in queste partite non ci metterei Bari, eravamo stravolti come energie nervose dopo l'Inter. A Cosenza dovevamo fare meglio ma mi chiedo se il giudizio sarebbe cambiato se avessimo raggiunto un pareggio che sarebbe stato meritato. Però obbiettivamente questi alti e bassi che abbiamo avuto durante la stagione ti parlano di una squadra che deve ancora maturare. Per dire, ricordate Parma-Bari? Entusiasmo del debutto, gol dopo tre minuti eravamo in vantaggio, quasi in serie A. Dopo 25' sotto 2-1 e già disperati. Quello che voglio dire è che non si può avere questo sbalzo emotivo».

Che fare dunque?

«Devi far fatica. Per vincere devi fare fatica che significa alcune volte perdere e gestire la frustrazione che porta la sconfitta. Vuol dire faccio una corsa in più per il mio compagno, dico una parola in più, sono aiuti che possono evitare un gol. Da lì parte tutto quanto».

Il Parma ha il tempo necessario per farlo?

«Mancano 14 partite, è un anno e mezzo che ci lavoriamo. Ora bisogna affrettare un po' questo processo. Bisogna stringere il cerchio».

Secondo te il Parma è stato sopravvalutato?

«Tutto ciò che è in orbita Parma, ovvero la proprietà americana, gli investimenti, il progetto, arriva Buffon, arriva Vazquez, c'è Tizio, c'è Caio... questo fa si che le aspettative siano altissime e che il Parma possa essere considerato il favorito. Però, dopo un anno come l'anno scorso, bisogna capire che Buffon non basta, Vazquez non basta. Serve l'aiuto di tutti. Di tutti. I risultati li portano un gruppo, l'ambiente».

Quando sei tornato a Parma pensavi ci potessero essere tante difficoltà?

«Sinceramente no. Mi piacciono le sfide, mi piace impegnarmi per gli altri, immaginavo potessero esserci dei problemi perché le retrocessioni lasciano sempre delle scorie, però non pensavo saremmo stati nella situazione dell'anno scorso».

E tornare a Parma come è stato? La città l'hai trovata come l'avevi lasciata?

«Sì, si. Quello sì. Bellissimo, al di la dei risultati che non sono stati quelli che ci aspettavamo, che mi aspettavo, però per me sono state tantissime le motivazioni che mi hanno fatto tornare. Ora i miei figli capiscono la connessione tra me e Parma. È stato trasmettere un pezzo di me. Anche a mia moglie. Ogni volta che viene a Parma mi dice “ma quanto ti vogliono bene, come ci trattatno bene”. E poi è chiaro, come in tutte le cose, ognuno gioca avendo dentro degli obbiettivi, degli stimoli. Per me è provare a dare alla gente delle soddisfazioni, delle gioie. Chiaro che non posso chiedere questa cosa ai miei compagni, hanno un altro vissuto».

Cosa possono fare i tuoi compagni che vivono Parma da poco tempo?

«In virtù dell'obbiettivo comune, ognuno deve trovare dentro di se la motivazione giusta per riuscire a dare il meglio. Io per esempio non devo aggiungere nulla alla mia carriera. La mia motivazione riguarda la società che ha avuto il coraggio di chiamarmi, per la gente che mi ha sostenuto».

Queste tue parole che ritornano spesso, anche nell'ultima conferenza stampa, secondo te che effetto hanno fatto sulla squadra?

«Bisognerebbe chiederlo ai ragazzi. Certe cose che ho detto però si dicono anche nello spogliatoio. Ce le diciamo. Ognuno deve dare per quello che ha. Chi ha tanto deve dare tanto, chi ha poco quel poco deve darlo. E' importante che ognuno senta dentro questo tipo di responsabilità, che significa dare e spendersi per la causa, ognuno con le proprie motivazioni. E le responsabilità ce le dobbiamo prendercele tutti».

La voce di Buffon è importante anche in campo. Con i compagni, con l'arbitro, con gli avversari... solo una nostra sensazione o effettivamente questi sono i tratti di un leader?

«Allora con l'arbitro cerco sempre di non espormi, oltre che il rispetto per il ruolo ho anche una certa simpatia. Hanno un ruolo delicato e vanno sempre rispettati, soprattutto in campo. Poi ci sono delle situazioni dove non sempre agisci o reagisci nello stesso modo. Magari prima della partita dico a Enrico (Delprato ndr) o a Franco (Vazquez ndr), visto che io sono in porta, se c'è bisogno che vadano loro a parlare con l'arbitro. Su quello non so alla fine se si possa incidere. Quello che sono sicuro è che si possa incidere sui compagni e che ogni giocatore possa incidere sulla squadra. Di questo sono fermamente convinto. Perché poi per arrivare a dei grandi traguardi, in un gruppo devi respirare grandi energie. E se queste energie sono positive le senti, le percepisci. E queste energie le può dare chiunque. Io e ogni giocatore della squadra. E anche il più scarso è fondamentale per questa cosa. Anzi è il più importante, perché la spinta può e deve arrivare da tutti».

Non ti chiedo cosa farai da grande ma non ti è mai venuta voglia di istruire i giovani. Di insegnare tutto quello che hai imparato in tutti questi anni di carriera?

«Se io penso a me stesso, per ogni intervento che faccio, in campo o negli spogliatoi, non c'è dietro un calcolo, sono cose che io mi sento dentro e devo tirar fuori perché sennò sto male. Sai quando hai un peso sullo stomaco e devi buttarlo fuori? Io sono così, sennò sto male. Se tu mi dici, hai qualcosa da insegnare? Non lo so. Magari se vado e vedo, però se dovessi partire e dire ora vado a insegnare, non saprei che dire. Forse non avrei nulla da insegnare. Vedendo certe dinamiche magari vedo quali sono i correttivi da fare, ma se non ci sono dentro non saprei. Poi, devo essere sincero, l'idea non mi fa impazzire, non mi stimola. Quando ero bimbo, mi piaceva stare con i grandi. E mi piaceva la competizione. Questa idea non mi accende, devo essere acceso per rendere al meglio. Devo avere la grande sfida, la grande competizione. Quello sì che mi prende».

Sandro Piovani

© Riproduzione riservata

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