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INTERVISTA

Buia: «Superbonus, una batosta per imprese e cittadini»

Parla il presidente dell'Upi

Buia: «Una batosta per imprese e cittadini»

di Claudio Rinaldi

19 Febbraio 2023, 03:01

Presidente Buia, come si spiega questa decisione improvvisa del governo?

«È la dimostrazione che lo strumento del superbonus – pure così importante per l’economia del Paese, a favore dei cittadini e delle imprese – è sempre stato gestito dalla politica con sufficienza».

Cosa intende?

«Fin dall’inizio i governi che si sono succeduti non hanno voluto pensare con serietà a un percorso virtuoso che permettesse, attraverso i soldi erogati dallo Stato, non solo un miglioramento degli immobili sotto il profilo energetico e antisismico, ma anche una crescita delle imprese. L’errore è stato usare il Superbonus più come mezzo di propaganda politica che di crescita economica. Qualcuno, durante le campagne elettorali, ha sollevato obiezioni contro il bonus? No, nessuno. Però adesso ci si è trovati nella necessità di dover intervenire. Rischiando di mettere in ginocchio migliaia di imprese e colpendo duramente migliaia e migliaia di famiglie».

Cosa si sarebbe dovuto fare?

«Per prima cosa, fare lavorare solo imprese qualificate, così come avviene per le opere pubbliche. L'Ance lo chiesto infinite volte, con grande insistenza. Era evidente che sarebbe stato l’unico modo per salvaguardare e valorizzare gli investimenti dello Stato: ma purtroppo non siamo stati ascoltati. Avrebbe garantito minori flussi finanziari in uscita dalle casse pubbliche e quindi la possibilità di utilizzare questo strumento di sviluppo per diversi anni, con una razionalizzazione programmata con lungimiranza e un calo progressivo del bonus».

E invece?

«Invece tutti si sono improvvisati costruttori, è nata una pletora di imprese fasulle, si è finito per drogare il mercato e per agevolare le frodi miliardarie. E, alla fine, si è arrivati alla necessità di adottare questo provvedimento, questa tagliola che colpisce tutti, in primis le imprese qualificate e strutturate e i cittadini. Quello che più mi fa rabbia è che noi abbiamo messo in guardia tutti i ministri con cui abbiamo parlato. Niente. Solo l'ultimo governo ha messo questo vincolo, che entrerà in vigore in giugno: ma a questo punto inciderà pochissimo».

Quante imprese “improvvisate” sono nate, per il Superbonus?

«Un numero impressionante. Solo negli ultimi mesi del 2021, si sono iscritte alle Camere di commercio 11.600 imprese di costruzioni senza neanche un dipendente».

Incredibile. E questo ha aperto autostrade verso le frodi, giusto?

«Ovvio. Si contano frodi per 4,5 miliardi: e per lo più si tratta di società di comodo create in modo artificioso proprio con lo scopo di frodare lo Stato. Le regole, alla fine, sono state introdotte, ma con tanti e tali livelli di controllo e adempimenti burocratici da rallentare e rendere complicata ogni pratica. Una cosa deve essere chiara: non è lo strumento del bonus che va demonizzato, ma la carenza di regole».

Ma lei si aspettava un provvedimento lampo come quello adottato giovedì sera?

«No. Penso sia stato un errore averlo varato così in fretta. Non ha senso. In tanti anni trascorsi a Roma, dal 2009, non ho mai visto una cosa del genere: inserire il decreto in extremis nell’ordine del giorno del Consiglio dei ministri, approvarlo al volo e farlo pubblicare nella notte sulla “Gazzetta Ufficiale”. Mai. Detto ciò, è evidente il motivo: il governo si è reso conto della necessità, urgente, di interrompere i flussi in uscita».

Come mai se n’è accorto adesso?

«Una recente determina dell’Eurostat ha fatto intendere che i fondi erogati in un anno siano pagabili entro lo stesso anno solare, e non spalmabili nei cinque anni successivi, come si credeva. Quindi, nel bilancio del 2022 si dovrà considerare un’ulteriore uscita di 40 miliardi. A questo punto, il governo è dovuto correre ai ripari, per fermare subito l’emorragia».

Era l’unica strada?

«No. Per quanto nessuno possa dimenticare le esigenze dello Stato, e quindi si debba considerare il problema enorme di aggravare così pesantemente il bilancio del 2022, questa decisione improvvisa – chiamiamolo pure golpe normativo – crea instabilità, spegne in un colpo tutte le possibilità di crescita e sviluppo delle imprese, esponendole a rischio di default, e dà una mazzata a tanti cittadini, che già da tempo stanno subendo un aumento esponenziale dei costi energetici. Sarebbe bastata una programmazione seria, visto che i problemi che stavano emergendo erano noti. Come mai non sono stati affrontati quando è stata varata la Legge di bilancio? Si sarebbe potuto benissimo evitare questo “stop” improvviso».

E ora gli obiettivi posti dall’Europa – immobili in classe energetica E entro il 2030 e in classe D entro il 2033 – sono pressocché irraggiungibili.

«È evidente che la misura del governo non va incontro alla recente decisione del Parlamento europeo circa l’efficientamento energetico e la riduzione delle emissioni. In Italia gli immobili costruiti prima del 1974 con classe energetica F o G sono 11 milioni: di questi, solo 2,5 milioni sono esonerati dall’obbligo, in quanto seconde case, appartamenti al di sotto dei 50 metri quadrati, immobili storici, eccetera. Sarà praticamente impossibile, adesso, raggiungere l'obiettivo europeo».

Quanti anni occorreranno?

«Le cito una statistica: prima del Superbonus e dell’introduzione dello sconto in fattura, gli interventi di efficientamento energetico procedevano a un ritmo talmente lento per cui sarebbero necessari più di 600 anni. E, oltre agli aspetti energetici, non dimentichiamo il rischio sismico: meriterebbe una grande attenzione, soprattutto in Italia».

I bonus restano, anche se  ridotti, ma il colpo di spugna su cessione del credito e sconto in fattura danneggia le famiglie normali.

«Certo: chi ha un reddito alto potrà continuare a usufruire del bonus scontando direttamente il credito, non avendo bisogno di cederlo. Per gli altri, e specialmente per i condomini, questo decreto spegnerà ogni possibilità di efficientamento».

E poi c’è il problema, enorme, dei cosiddetti crediti incagliati.

«Anche questo per colpa del modo allegro di gestione del Superbonus: oggi ci sono più di 22mila imprese nei cui cassetti fiscali giacciono circa 15 miliardi e che necessitano di essere svuotati. Si tratta di imprese che hanno eseguito i lavori e che non riescono a cedere il credito, non avendo più luiquidà per continuare i lavori e per pagare il fornitori. È una filiera lunghissima che rischia di essere messa in ginocchio».

Federica Brancaccio, che le è succeduta alla guida dell’Ance, lo ha detto chiaro e tondo: 22mila imprese che rischiano di chiudere.

«Ha fatto bene a lanciare questo grido d’allarme: molto realistico, c’è grandissima preoccupazione. Dopo tanti anni di crisi, il bonus è stato davvero un veicolo di crescita economica. E ora si passa, dalla sera alla mattina, al rischio di una crisi profonda, con un sistema imprenditoriale che rischia di saltare, con tantissime aziende che corrono il serio pericolo di chiudere. E con la conseguenza di lavoratori che perdono il posto, di famiglie in crisi. Sono tantissimi i lavoratori a rischio: non solo i dipendenti delle imprese in bilico, ma anche quelli di tutta tutta la filiera».

Quante probabilità ci sono che il governo torni sui propri passi?

«Nessuna, però spero che, nel percorso parlamentare di conversione, si possano trovare aspetti di miglioramento: si deve assolutamente trovare un rimedio per i crediti incagliati e ripristinare gli incentivi per la rigenerazione urbana, il Superbonus acquisti, che incidono pochissimo sulle casse dello Stato».

A proposito di rigenerazione urbana: gli esperti sono concordi nel dire che il ritorno degli investimenti, per lo Stato, è molto significativo.

«Quasi tre euro per ogni euro speso, tra i benefici diretti e indiretti. Lo aveva illustrato molto chiaramente anche uno studio dell’Università di Parma, in occasione del convegno al Regio “Com’è bella la città”, lo scorso maggio».

L’emorragia di cui si parlava, quindi, non è solo una spesa.

«No, proprio no. Del resto, basta guardare i dati di crescita del Pil del 2021, quasi il 6,8%. Di questo, oltre due punti percentuali sono stati garantiti dal mondo delle costruzioni. Purtroppo, il Mef, da sempre, si limita a vedere i flussi in uscita, senza valutare il beneficio di ritorno, l’indotto e i benefici, anche sociali, legati alla crescita».

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