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Intervista

Pagliari, un parmigiano nel tempio di Mozart

Pagliari, un parmigiano nel tempio di Mozart

di Lucia Brighenti

08 Marzo 2023, 03:01

Ritorno in Europa di un paio di settimane per Matteo Pagliari, direttore d’orchestra parmigiano che ormai da molti anni risiede e lavora a Lima, in Perù. Il motivo sono state due collaborazioni prestigiose che, tra gennaio e febbraio, lo hanno portato a dirigere in concerto l’Orchestra dell’Università Statale di Milano e a tenere una masterclass di una settimana nel Mozarteum di Salisburgo, primo docente esterno a essere invitato in questa veste: «Una soddisfazione notevole - osserva -, al Mozarteum non entra chiunque. L’occasione è nata grazie a uno dei miei allievi di Lima che l’anno scorso, dopo un lungo periodo di preparazione con me, è stato il primo giovane peruviano a essere ammesso nella classe di direzione d’orchestra dell’Istituto salisburghese. È stato lui a dire al suo maestro che sarei venuto in Europa per dirigere un concerto e questi gli ha chiesto di fare da intermediario per propormi una masterclass, con mia felicità e stupore...».

Come è andata?

«Ho lavorato con sette allievi di età media tra i 25 e i 30 anni. Tre erano austriaci, tre latinoamericani e uno italiano. Abbiamo approfondito gli stessi brani che stavano preparando con il loro maestro: la Gran Partita di Mozart, la Serenata di Dvořák, Sheherazade e alcune pagine della Bohème. Devo dire che insegnare Mozart al Mozarteum dà un po’ i brividi... soprattutto perché lo considero da sempre il compositore più difficile. Entrare al Mozarteum è una grande soddisfazione, per il prestigio della scuola e per la grande tradizione che la accompagna. Se dovessi descrivere con una parola quello che ho percepito entrando il primo giorno, direi senz’altro “serietà”...».

Poi c’è stato il concerto con la Statale di Milano…

«L’invito mi è arrivato dal suo direttore musicale, Sebastiano Rolli, cui mi lega un’amicizia ultratrentennale. A Milano abbiamo suonato l’Ouverture della Clemenza di Tito di Mozart, seguita dalla sua Sinfonia n. 39, e dalla seconda Sinfonia di Beethoven, che è un vero
capolavoro. Due autori che adoro e dei quali ho scelto brani che si ascoltano troppo raramente. Il concerto è stato un grande successo, e credo sia nata una storia
d’amore tra l’orchestra e me... è una realtà sinfonica bellissima, con grandis-
sime prospettive di crescita».

Come si integrano l’attività concertistica con quella didattica?

«L’insegnamento è una responsabilità: hai nelle tue mani la formazione di un musicista e da ciò che gli insegni dipende il suo futuro. Quando ho iniziato a insegnare regolarmente, a Lima, ho dovuto fare un lavoro di razionalizzazione a posteriori dei miei processi di apprendimento, per poter insegnare in maniera logica ed efficace. Anni fa un alunno venne da me dopo un mio concerto e mi disse “tu fai esattamente quello che insegni”. Risposi che era il contrario: io insegno quello che faccio, è diverso. Ho sempre pensato che non si possa insegnare qualcosa che non si conosce in maniera diretta e pratica».

Quali i progetti futuri?

«Sto per iniziare la quinta edizione della mia masterclass annuale di direzione d’orchestra in Conservatorio, a Lima: un progetto iniziato nel 2016 che si era interrotto a causa dell’emergenza sanitaria. Da lì sono usciti finora alcuni giovani molto promettenti, tra cui il mio allievo “salisburghese”. In più, avrò numerosi concerti, sia con l’Orquesta Sinfónica Nacional sia con la Filarmonica di Lima, che torna a suonare rinnovata dopo anni di silenzio. Quanto all’Europa, mi auguro che nascano progetti interessanti che mi “obblighino” a rientrare, di quando in quando…».

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