Villa Parma
C’è l’infilata del corridoio col suo susseguirsi di stanze, il verde acqua classico dei comodini e degli armadi, i rumori attutiti e l’odore del disinfettante. C’è l’angolo da svoltare e una porta a vetri là in fondo. Si bussa e ci si lascia inondare dalla luce e le sue inclinazioni, e dallo stupore.
Sculture alate di carta, corda e filo, l’architettura che si fa modellino, i doni di legno e foglie del giardino, i bastoni intagliati, i colori dappertutto. E poi - dove la stanza dalle geometrie inusuali si fa sporgenza verso gli alberi, in un quasi bovindo che si avvicina allo scorrere delle stagioni lì fuori - eccola, la scrivania dell’artigiano e dello studioso «in fondo mai tornato dal Venezuela». Un ordinato disordine di libri, appunti, foto, cartone, forbici e colla, una casa al mare e la villetta della figlia in Svizzera, rigorosamente di cartone e riciclo.
Residenza «I tigli», comprensorio di Villa Parma: chi l’avrebbe mai detto. E invece un inutilizzato spazio comune è diventato – sensibilità di chi gestisce – il laboratorio in cui Angelo Bonazzi, 80 anni, continua il suo viaggio negli elementi e nelle parole.
Nato sotto i bombardamenti a Reggio Emilia, la mamma decise di sfollare a Boretto e attendere lì il ritorno del marito dal fronte. «Nel 1941, mentre mio padre era in Francia a bordo di un sommergibile della Marina, gli arrivò il telegramma della morte del padre. Ottenne un permesso per rientrare grazie all'amico Angelo, che si offrì di sostituirlo. Partirono in missione e non tornarono mai. Io invece nacqui 9 mesi dopo: ecco il nome del destino».
Il destino che di nuovo si ripresenta a 16 anni, quando si imbarcò di notte su un bastimento a Venezia. Venti giorni di oceano insieme alla madre e alla sorella, fino alla foce dell’Orinoco e il simbolico inoltrarsi nella terra promessa: quella dove il padre e il fratello li avevano preceduti.
E se avessero tardato altri sei mesi chissà che biografia avrebbe da raccontare: «Erano emigrate ormai tante famiglie, ma lui, ingegnere e eccellente elettromeccanico che aveva sempre lavorato sui bastimenti, si decise solo alla fine degli anni Cinquanta. Subito dopo scoppiò il boom economico e con le sue competenze da sfruttare, forse non saremmo mai partiti». Invece si riabbracciarono là in America, e dopo averla sognata «è finita che in quei 54 anni sono diventato io uno d’America. Non il classico zio, però», sorride con ironia.
Partì da lavoretti per «i paesani», gli italiani che là avevano già trovato fortuna. Poi grazie alla formazione in disegno tecnico nell'area dell'ingegneria arrivarono gli anni alla Innocenti - che non faceva ancora auto ma impianti siderurgici -, all'Ansaldo e dell'inglese imparato durante la costruzione di una diga idroelettrica americana. In mezzo il matrimonio, la nascita della figlia, il mare di Caracas. Gli anni del piccolo miracolo economico del Venezuela gli ricordano i Chicago Boys del neoliberismo, ma «io ho vissuto l'epoca di Chavez» e quella era tutta un'altra storia: «Per quello lo “hanno morto”». Narra di un Paese delle Meraviglie: la natura, ma anche la vitalità, l'entusiasmo dei giovani. «Ogni tanto venivo in Italia, c’erano i residui familiari, la zia preferita. Ma poi ho trovato un mondo così inospitale...».
Un ritorno forzato dalla tristezza dell'anima arrivata col venire meno degli affetti, il desiderio di figlia e sorella di fargli scrivere una nuova pagina. Scelse Parma «perché c'era l'appoggio di una amica di famiglia e perché mio padre la conosceva, aveva lavorato per l'ammiraglio Varoli Piazza». La caduta per un malore, la rottura del femore e un black out di memoria lo hanno fatto ritrovare «Ai Tigli». E appena si è ripreso la sua singolarità e la sua cultura si sono fatte notare: «Alcuni dei professionisti a fine turno vengono a chiacchierare, e mi hanno lasciato questo spazio». Abitato dal terra-aria-acqua-fuoco sperimentato nella vita e dove spicca anche la tecnica inventata per ricami di carta su carta, precisi fronte-retro come da scuola di alto cucito.
«Un modo per accelerare il tempo. Ma mi piacerebbe poter conversare più spesso». E' un invito vero a bussare alla porta. Al di là, un uomo che ha la bibliografia completa di Eduardo Galeano, discorre di cultura sudamericana e storia, che ha creatività da condividere. E che si commuove senza nascondersi: e gli si vorrebbe dire che pure quello è un sapere, più che un difetto.
Chiara Cacciani
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