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Omicidio

La mamma di Michelle: «Lui presto fuori. E temo che faccia ancora del male»

La mamma di Michelle: «Lui presto fuori. E temo che faccia ancora del male»

di Chiara Cacciani

11 Aprile 2023, 03:01

Se la ricorda bene quell'ultima festa di compleanno, Edith Verde. Anche allora cadeva nel giorno di Pasqua, anche allora un numero tondo: gli zii e i cugini arrivati a allungare la tavola degli affetti, il pesce da tradizione, le venti candeline sulla torta di sua figlia. Sorridente come nelle foto che sono dappertutto, anche nella memoria collettiva di una città, la nostra. Tre mesi dopo, il 16 luglio 2013, Michelle Campos è morta colpita dalle martellate di Alberto Muñoz, l’allora 21enne che aveva frequentato per qualche mese.

E nella Pasqua di questi 30 anni senza festa, amore e dolore risorgono inscindibili. «Penso sempre a come sarebbe cambiata mia figlia in questo tempo», racconta Edith Verde, che nel frattempo è diventata per due volte nonna. «Anche a questo penso: avrei avuto altri nipoti? Sarebbe diventata mamma? E prima o dopo la sorella? Mi chiedo tutto e non ho risposte». Come quel «“Perché lei?”: non vivo in pace». C'era un futuro pronto a essere scritto, nella vita di Michelle. «Cinque giorni dopo la sua morte, è arrivato il certificato del corso da agente assicurativa. Voleva lavorare per le sue spese e per continuare a studiare: lo desiderava lei e la spingevo anch’io. Amava la chimica: avrebbe voluto lavorare nella farmaceutica, e invece a luglio saranno già 10 anni, pensa da quando è stata brutalmente uccisa».

No, in quel giorno di Pasqua e compleanno insieme non c’era Muñoz, che per il femminicidio della ragazza è stato condannato prima a 30 anni e poi a 16 nell'appello-bis. «Me l’aveva presentato, quel mostro. Io me lo sentivo: “Guarda Michi che è violento, ho paura che ti faccia del male”. Ma lei mi rassicurava: “Mamita, non ti preoccupare”. Dopo lei ha capito, l’ha lasciato e è successo».

E oggi a tormento si aggiunge tormento. «Secondo me uscirà presto - dice in un soffio -. Sedici anni di condanna significano che lo rivedrò fuori magari già fra tre e questo mi fa paura. Ho il terrore che possa ancora far del male. Né da lui né dalla famiglia è mai arrivata una parola, mai una scusa, mai niente». E lei di altre Michelle continua a contarne troppe. «La televisione non la guardo quasi più: non riesco a sopportarlo. E esce dalla casa, dalla famiglia, quest'educazione». Si sentono voci di bimbi al di là del telefono. «I miei due nipotini imparano qui il rispetto: già diciamo loro che la violenza è sbagliata. Il “grande”, che ha tre anni, ha chiesto cos'è successo alla zia: gliel'ho raccontato e gli dico che è in cielo e lui la saluta. E anche il piccolino le manda sempre baci».

Il «perché lei?» si allarga a uno straziante «Mi chiedo cosa abbiamo fatto. Mio papà è stato ucciso in Perù: aveva tolto il cappuccio dal volto degli uomini che erano entrati in casa per rapinarlo e li aveva riconosciuti e gli hanno sparato. Ho perso mia madre per il Covid. Ormai sono quasi sola. Tutti i giorni prego il Signore e parlo con tutti loro. Ora piango un po’ meno: Michelle mi ha sgridata in sogno, mi ha detto che non devo perché sta bene, e allora io faccio come vuole lei».

Chiara Cacciani

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