L'intervista
La testa è libera da ogni pensiero. Lo sguardo rimane fisso sulla corsia, mentre la testa è già proiettata all’obiettivo da raggiungere. Nuotare verso la gloria, almeno in determinate distanze, è questione di secondi. Che possono sembrare un’eternità, ma talvolta cambiano anche il corso degli eventi e della vita di un atleta.
Thomas Ceccon, veneto di Thiene, classe 2001, quel brivido e quell’emozione li ha vissuti tutti d’un fiato in un 2022 indimenticabile. Da Budapest a Roma, dominando la scena. Tra Mondiali ed Europei, la stagione ha portato in dote a Thomas la bellezza di otto medaglie. Una più bella dell’altra. Un bottino impreziosito anche da un record mondiale, a Budapest, nei 100 dorso, dove ha fermato il cronometro sul tempo di 51”60. Roba da non credere. «Soprattutto se ripenso a cosa mi era successo a febbraio 2022» torna indietro con le lancette del tempo il campione azzurro, da poco entrato nella squadra di talenti di Parmacotto Group. «Ho preso il Covid e sono rimasto fermo una settimana: di per sé, quindi, non uno stop particolarmente lungo. Tuttavia – racconta Ceccon alla Gazzetta di Parma – per ritornare ad una condizione di forma accettabile, ho impiegato circa due mesi. E questo non mi faceva presagire certo ciò che poi è accaduto. Agli Assoluti dello scorso anno, infatti, i miei tempi erano stati mediocri, sia nello stile che nel dorso».
E poi, a Budapest, cosa è scattato?
«Il 2022 è stato un anno molto particolare, con tante competizioni: una cosa che non si era mai vista prima. Ai Mondiali, considerate le premesse, non mi sono presentato con chissà quali aspettative: speravo semplicemente di fare del mio meglio».
Quando ha capito, invece, che poteva succedere qualcosa di importante?
«Dopo la batteria dei 50 delfino: in acqua mi sentivo bene e questa sensazione mi ha trasmesso una bella dose di fiducia per le gare successive. Ne ho fatte 14-15 in meno di una settimana...».
Dal punto di vista mentale, prima ancora che delle energie fisiche, come si gestisce un tour de force di questo tipo?
«Pensando ad una gara per volta: così mi hanno insegnato e trovo che questo sia il metodo giusto. Oggi hai la batteria dei 50 delfino? Bene, concentrati su quella. Perché se con la testa ti proietti già al giorno dopo, quando magari il calendario ti riserva una finale dei 100 dorso, è finita».
Detta così, sembra facile. Ma in realtà...
«È chiaro che ci pensi, farlo ti viene automatico. D’altronde esiste un programma che ti abitui a studiare nel dettaglio. Però questo non deve condizionarti: occorre ragionare passo dopo passo e recuperare il più in fretta possibile, sul piano fisico e mentale».
La versatilità, che la porta ad abbracciare stili differenti riuscendo in tutti a competere ad alti livelli, è il suo punto di forza?
«È una caratteristica che mi fa sentire di sicuro molto fortunato, sebbene comporti una fatica maggiore per quanto riguarda la preparazione. È difficile da gestire, inutile girarci attorno: probabilmente se mi allenassi solo nella specialità del dorso potrei fare ancora meglio, ma gareggiare su diversi fronti ti permette di avere più chance. Se una gara non va per il verso giusto non finisce lì, ma hai la possibilità di rifarti».
Può essere un buon consiglio per le nuove leve?
«Ai ragazzi ripeto sempre di non rinunciare ad una gara per farne un’altra, ma di allenarsi in più stili e provare a fare quanto più possibile. In Italia, purtroppo, non c’è questa cultura: basti pensare che io sono tra i pochissimi nuotatori che gareggia su tre stili. Ma ritengo sia un passaggio necessario per i giovani, nella prospettiva di una crescita».
Essere diventato ormai un modello di riferimento per le nuove generazioni costituisce un peso per lei?
«Non avverto pressioni di questo genere. Adesso che sono un po’ più grande cerco solo di facilitare il più possibile il processo di inserimento dei ragazzi che arrivano. È una cosa che a me, ad esempio, è mancata».
Sta iniziando a studiare da leader. Non a caso questo è un ruolo che molti attribuiscono a Ceccon, per la Nazionale che verrà.
«Questo non lo so. Ma se un giorno verrò in qualche modo incoronato come tale, cambierà la prospettiva. Essere leader significa non fare più soltanto l’atleta, ma dover tenere le fila del gruppo: incoraggiare i compagni, trasmettere loro sicurezza nei momenti di difficoltà. I compagni devono poter contare su di te, sempre. Serve tanto carisma. E questo carisma, un leader deve averlo dentro».
Essere atleti comporta seguire uno stile di vita sano ed equilibrato: la cornice perfetta che identifica il legame con Parmacotto.
«Bruciando dalle 3 alle 4 mila calorie giornaliere, ho la necessità di mangiare molto. Quando avevo 17 anni non mi nutrivo benissimo. Poi ho capito che certi accorgimenti possono fare la differenza, rendendoti più performante. All’estero è chiaro che ci si accontenti di quello che passa il convento, come si suol dire. Però al mattino, piuttosto che la classica brioche al bar, preferisco un panino o un toast con gli affettati. Uno stile di vita equilibrato è fondamentale per un atleta: in Parmacotto riconosco il valore del percorso che l’azienda sta portando avanti, in relazione al benessere delle persone a 360°».
Siamo alla vigilia degli Assoluti di Riccione: cosa si aspetta?
«A febbraio ho avuto qualche problema di salute, come lo scorso anno. Allora era stato il Covid, stavolta altro: ho recuperato da poco. Voglio andarci piano: preferisco fare meno gare, staffette comprese».
Questo è l'anno dei Mondiali in Giappone, ma restano le Olimpiadi di Parigi l’obiettivo?
«Ci penso fin dal giorno dopo la fine di quelle di Tokyo».
Le Olimpiadi di Tokyo cosa hanno significato per il nuoto italiano?
«Hanno restituito consapevolezza. A me in particolare, perché ho capito che ero tra i primi quattro al mondo a dorso e tra i primi cinque nello stile. Tokyo ha rappresentato la svolta: abbiamo dimostrato di avere quella fame di vittoria che ci ha poi accompagnati anche nella stagione successiva e per fortuna non ci ha ancora abbandonati. I risultati sono uno stimolo per tutto il movimento, perché tutti gli altri nuotatori capiscono che il lavoro e l’allenamento pagano».
Il record che ha fissato a Budapest può essere migliorato?
«Certo, si può fare sempre meglio. Bisogna però ritrovare quella condizione. Poi non è detto che debba riuscirci per forza io, può farlo anche qualcun altro».
Vittorio Rotolo
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