×
×
☰ MENU

Intervista

Popolizio: «Racconto l'inferno di una passione maledetta»

Popolizio: «Racconto l'inferno di una passione maledetta»

16 Aprile 2023, 03:01

E’ uno degli interpreti più potenti della scena italiana, i premi Ubu non si contano, tanti i riconoscimenti ma soprattutto palpabile è l’affetto del pubblico: applauditissimo nel precedente «M il figlio del secolo», l’attore e regista Massimo Popolizio presenta martedì e mercoledì al Teatro Due il suo nuovo cinematografico lavoro «Uno sguardo dal ponte» di Arthur Miller, in tournée con successo da febbraio.

Il testo teatrale è già una sceneggiatura, come ci racconta, anche se non ritiene il famoso film di Sidney Lumet tra i suoi migliori. «E’ uno spettacolo che procede per sequenze e che assomiglia più a un film, tra primi piani, secondi piani e campi lunghi», dice con la sua magnifica voce, entrando subito nel merito di qualcosa che già si percepisce toglierà il fiato. Tutta l’azione è un lungo flashback: e la tensione è subito in scena, febbrile come solo la passione è capace di essere; con lui, nei panni del protagonista principale Eddie Carbone, tra i validi attori anche Raffaele Esposito, che tante emozioni ci ha regalato in passato con l’ensemble dello stesso teatro.

Il plot è tratto da un fatto di cronaca: il dramma interiore di un immigrato siciliano nella Brooklyn degli ‘anni 50, ossessionato dall’amore per la nipote diciottenne, accudita in famiglia come una figlia.

Il testo, scritto nel ‘55, è rimasto intatto: quindi sempre attuale?

«Abbiamo solo sfrondato certi stereotipi e cliché che oggi sarebbero insopportabili: l’occhio di Miller sugli italiani è comunque da americano. Come già fece Visconti - che per primo lo diresse in Italia nel ‘58 - abbiamo tradotto parte del testo in siciliano (l’attore genovese ha origini siciliane da parte di madre, ndr): entrando però nello specifico di diversi tipi di dialetto vero e non maccheronico. Ma non è un dramma sull’immigrazione: il vero nodo di questa pièce è la passione furibonda, maledetta che porta Eddie Carbone fino all’ultimo girone dell’inferno. Un innamoramento vero nei confronti della giovane nipote, che non ha niente a che vedere con la pedofilia, e che lo porta a fare i conti con l’irrazionale e a vedere nemici da abbattere, come considerare omosessuale un ragazzo del sud solo perché balla ed è biondo. Anche se lontana nel tempo è quindi una discesa all’inferno sempre attuale: che racconta una passione maledetta, tossica dalla quale si può essere annientati, ma che nasce da un impulso vero, reale. Ed è una una storia profondamente italiana: di americano c’è solo il ponte di Brooklyn su cui passa la metropolitana che scandisce le sequenze».

Una «caduta» di forte impatto teatrale: con lei la temperatura emotiva è sempre alta, il dinamismo sempre in atto...Cosa chiede a se stesso e agli attori che dirige?

«Ogni volta mi chiedo: come si affronta un personaggio? Che materiale usare? Mi chiedo di poter fare un teatro di interpretazione di attori, non di immagine o di quella specie di supermercato che è diventata la comunicazione dal vivo di oggi. Lotterò sempre per cercare di fare teatro popolare e di qualità».

E’ stato diretto per 35 spettacoli dal maestro Luca Ronconi: che eredità le ha lasciato?

«Luca era un uomo di un’intelligenza infinita: e tra i tanti insegnamenti senza dubbio quello di non abbassare l’asticella, domandarsi sempre delle cose, nel rispetto degli altri e di te stesso. Mi ha fatto capire che il viaggio che fai durante le prove è una cosa seria, senza retorica: che non si può recitare senza la fatica».

Mariacristina Maggi

© Riproduzione riservata

CRONACA DI PARMA

GUSTO

GOSSIP

ANIMALI